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14 luglio: la costruzione di un nemico

Scritto da Valeria Noli | 14-lug-2022 10.47.38

Il Presidente della Dante Alighieri Andrea Riccardi ha dichiarato che  “La memoria della Shoah è uno dei fondamenti della nostra civiltà, non c’è futuro senza memoria”. Ecco perché, con particolare impegno nel 2018, la Società Dante Alighieri ha avviato una serie di approfondimenti sulla storia del razzismo e sulle leggi razziali che hanno tristemente caratterizzato anche la storia italiana. In particolare, il 14 luglio 1938 fu pubblicato il "Manifesto della razza" (Manifesto degli scienziati razzisti) che sarebbe stato seguito dalla promulgazione delle leggi razziali emanate sino all'ottobre dello stesso anno.

Il fascismo sviluppò una sistematica azione di propaganda, discriminazione e sterminio di migliaia di persone. La propaganda di quei tempi ha "inventato un nemico", associando immagini (anche grottesche o caricaturali) a presunte qualità negative delle persone che di quella propaganda erano il bersaglio. Con strumenti di questo tipo fu avviata una terribile campagna discriminatoria e persecutoria contro gli ebrei e altri gruppi sociali.

A ottant'anni da quelle leggi razziali e razziste, per volontà del Presidente Andrea Riccardi e su unanime decisione del consiglio centrale della Società Dante Alighieri (che aveva espulso tutti i suoi aderenti ebrei) il convegno La cultura italiana, la Società Dante Alighieri e l’antisemitismo fascista ha riflettuto sulle compromissioni sulla cultura italiana con il razzismo fascista. Durante il convegno è stata anche scoperta una targa in memoria degli ebrei espulsi dalla Dante nel ‘38. 

La costruzione di un nemico

Alla fine degli anni Trenta il fascismo rivolse un insieme di norme razziste contro le persone di religione o di origine ebraica. Alla base c’era l’idea che la specie umana fosse suddivisa in “razze”. La scienza ha ampiamente dimostrato che questo concetto è erroneo, eppure il razzismo esiste ancora. È dunque importante continuare a parlarne, a presentare pubblicamente le acquisizioni del mondo della cultura, della storia e della storiografia su una questione così delicata e complessa.

Furono in particolare ebrei e popoli colonizzati a soffrire le persecuzioni più gravi. I primi, tra le varie cose, si videro escludere dai pubblici uffici, gli fu imposta la spoliazione dei beni e vietato trasferirsi in Italia (se stranieri). Si giunse al divieto di utilizzare nelle scuole non ebraiche i libri cui avesse contribuito un ebreo. Ai popoli colonizzati nel Nord Africa si riservarono livelli di violenza molto più gravi rispetto a quelli destinati ai nemici europei. Anche omosessuali o zingari furono discriminati e perseguitati, perché minacciavano il “prestigio” del popolo italiano con comportamenti considerati devianti.

Le radici storiche del razzismo sono però molto più antiche. Basti pensare agli esempi delle raffigurazioni stereotipate riservate agli eretici nel Medioevo o alle rappresentazioni degli ebrei nella Cappella degli Scrovegni (Gabriella F. Piccaluga, Ebrei nell’iconografia del ‘400, UCEI, 1986). Volti deformi, nasi adunchi, sguardo sfuggente, labbra spesse e fronte bassa: ecco alcuni dei tratti più comuni che “fotografavano” le presunte nefandezze morali di un nemico materialmente “costruito”, narrato e caricato di significati negativi.

Alla resa grottesca dei tratti somatici il razzismo associava e continua a farlo, in modo arbitrario, tratti negativi di profilo etico, morale, intellettivo o di valore. Possiamo facilmente indovinare la potenza di questa dinamica se consideriamo come opera, nell’attuale società dell’immagine e della comunicazione di massa, la ripetizione di informazioni e dati sull’origine geografica dei protagonisti della cronaca. L’immagine era però importante anche prima della TV e di Internet, pensiamo alle cartoline illustrate proprio di epoca fascista, con l’eterno mito del cannibale o figure sul fantomatico complotto giudaico per la conquista del mondo. Già usate nella Spagna del Medioevo per assegnare a un capro espiatorio la colpa di contingenze materiali come l’usura o la povertà, queste narrazioni servivano a togliere umanità ai nemici, che così apparivano degni di ogni persecuzione. Si trattava di una precisa tecnica per costruire una figura da combattere, che si esprimeva in diversi modi.

A quello biologico risalgono i presupposti pseudo-scientifici del Manifesto della razza, o Manifesto degli scienziati razzisti. Il testo, che si può leggere integralmente nel sito di ANPI, uscì sul “Giornale d’Italia” il 14 luglio 1938. Aprì la strada alla celebre rivista La difesa della razza, col suo direttore Telesio Interlandi. Il filone nazionalistico ovviamente si rifaceva a questioni di immagine e prestigio, quello tradizional-spirituale aveva a che fare con forme rituali ed esoteriche e così via.

Non si può comunque ridurre il razzismo fascista ad una questione politica, o di allineamento tra l’Italia e la Germania. Alcuni, come Philip V. Cannistraro (La fabbrica del consenso, fascismo e mass media, Laterza, 1975) lo spiegano come un effetto aberrante ed eccessivo di un portato culturale: la ricerca “delle radici storiche dell’identità nazionale” con la “polarizzazione nemico interno / nemico esterno”.

L’offesa della razza

A partire da una mostra realizzata da IBC – Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna nel 1994, “La menzogna della razza”, è stata rielaborata una successiva mostra dal titolo “L’offesa della razza”. Si proponeva un interessante percorso didattico sul tema della propaganda razzista fascista, a partire dalle correnti di pensiero e basi teoriche per toccare la questione degli spazi di visibilità (la rivista La difesa della razza e gli apparati di governo destinati alla cultura popolare). L’esposizione affrontava la questione delle persecuzioni dei popoli coloniali ricordando in particolare la deportazione di ben 100mila persone nel Gebel el-Achdar (Cirenaica, Libia) negli anni Trenta, l’uso del gas in Etiopia e il pogrom di Addis Abeba (1937). Anche contro i popoli delle colonie il fascismo degli anni Trenta produsse leggi razziste e di segregazione. La terza parte del percorso espositivo trattava la persecuzione degli ebrei, le campagne di propaganda e la temibile schematizzazione tassonomica della burocrazia di regime che volle determinare e censire gli appartenenti alla “razza ebraica” per poter operare una discriminazione più sistematica. Seguiva infine un laboratorio esperienziale dove i partecipanti erano invitati a muoversi come dentro un archivio per sperimentare cosa significa lavorare su materiali originali, non ancora commentati e magari nemmeno catalogati, per trovare una visione, una prova o una controprova, insomma sulle tracce della Storia.

Quale può essere la lezione di questo capitolo di storia italiana? Forse quella che ci indica lo storico Marc Bloch parlando di deformazione della realtà in un passaggio delle Riflessioni d’uno storico sulle false notizie della guerra (1921):

Le notizie false della storia nascono certamente spesso da osservazioni individuali inesatte o da testimonianze imperfette, ma questo infortunio iniziale non è tutto e in realtà in se stesso non spiega nulla. L’errore si propaga, si amplifica e vive solo a una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un brodo di cultura favorevole. In quell’errore, gli uomini esprimono inconsciamente i propri pregiudizi, odi e timori, cioè tutte le loro forti emozioni. Soltanto […] dei grandi stati d’animo collettivi hanno poi la capacità di trasformare una cattiva percezione in una leggenda.  

 

Fonti: ANPI | Rivista Istituto Beni Culturali Emilia Romagna | Gabriella Ferri Piccaluga (cit.) | Marc Bloch (cit.) | Philip V. Cannistraro (cit.) | testo del Manifesto della razza | La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, ac di Centro Furio Jesi; Bidussa, David; scritti di: David Bidussa … [et al.]. – Casalecchio di Reno: Grafis, [1994] | Archivio storico La Stampa – Torino, anno 1938

Si ringrazia l’Archivio storico del quotidiano “La Stampa” per aver concesso l’uso in questo articolo dell’immagine della prima pagina del giornale dell’11 novembre 1938.