Il sangue è un elemento così essenziale per la nostra vita da essere citato in numerose locuzioni e modi di dire. Tra le più interessanti c’è l’espressione essere di sangue blu, che ha dei corrispettivi in francese sang bleu, inglese blue blood e tedesco blaues Blut. Il suo significato, risalente alla fine dell’Ottocento, è quello di “persona nobile”. Ci sono vari fattori che concorrono a spiegarne l’origine: il primo è che vari membri di celebri famiglie reali europee soffrissero di emofilia, una malattia genetica del sangue che provoca un difetto di coagulazione e, di conseguenza, la frequente comparsa di lividi bluastri sulla pelle (di qui sangue blu). Soffriva di emofilia proprio la longeva Vittoria, regina del Regno Unito, che attraverso due delle sue cinque figlie trasmise la mutazione anche nelle famiglie reali di Spagna, Germania e Russia. Ritroviamo una seconda concausa dell’espressione nell’antico stile di vita nobiliare, che prevedeva pochissima esposizione ai raggi diretti del sole (a differenza delle persone più umili, che spesso lavoravano all’aperto nei campi). Questo faceva sì che la pelle dei nobiluomini e delle nobildonne fosse molto chiara, diremmo di porcellana, mettendo in evidenza le vene (blu) sui polsi e sulle tempie. Allo stesso modo, in Spagna si diffuse l’espressione sangre azul per designare le più antiche famiglie della Castiglia che non si erano mai unite con i mori e che quindi potevano “vantare” delle vene azzurre “a vista”, a differenza di chi aveva, invece, la pelle scura.
Tra le tantissime locuzioni italiane che chiamano in causa la rossa linfa vitale, ne ricordiamo solo alcune: essere sangue del mio sangue cioè “essere parenti”; farsi il sangue amaro “irritarsi, amareggiarsi, provare invidia o rancore”; sputare o sudare sangue cioè “faticare molto per ottenere qualcosa”; agire a sangue freddo “mantenendo la calma”; sentirsi gelare il sangue nelle vene “terrorizzarsi”; non scorrere buon sangue tra due persone “non andare d’accordo”; succhiare il sangue a qualcuno “sfruttare, specialmente economicamente”; lavare col sangue “vendicare in modo cruento un torto”. Tra i modi di dire proverbiali ne citiamo solo uno tra i molti, che variano anche di regione in regione: buon sangue non mente, cioè “le caratteristiche - fisiche o caratteriali - dei genitori vengono ereditate dai figli, o comunque dai discendenti”.
In conclusione anche alcuni nomi di cibi e bevande, a livello internazionale, fanno riferimento al sangue. Pensiamo alla sangrìa spagnola, famosa bevanda - il cui nome letteralmente vuol dire “salasso”- preparata con vino rosso, frutta e ghiaccio. In Italia, con il nome sanguinaccio si fa riferimento ad un piatto differente a seconda delle regioni: può essere una frittella di sangue di maiale misto a farina (a Firenze è chiamata anche roventino); un insaccato di sangue e grasso di maiale (diffuso nell’Italia centrale anche come biroldo, buristo o boldone e in Val d’Aosta come boudeun) o un dolce a base di sangue di maiale, cioccolato, pinoli, uva passa e canditi (diffuso nel meridione). In Inghilterra la variante del sanguinaccio è il black pudding, mentre la Schwarzsauersuppe (zuppa nera acida) è un piatto tradizionale della Germania settentrionale e il tiết canh vietnamita si prepara con sangue e carne di anatra appena macellata. Terminiamo la nostra carrellata con il famoso cocktail Bloody Mary, reso celebre negli anni Venti del Novecento dal barman parigino Fernand Petiot: si tratta di una bevanda a base di succo di pomodoro, vodka e spezie, chiamato così in ricordo della regina d’Inghilterra Maria la sanguinaria (Maria I Tudor), passata alla storia per la sua cruenta opposizione al protestantesimo.