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Dante, la bellezza e la lingua italiana

Scritto da Valeria Noli | 14-set-2023 11.49.00

Dante Alighieri, con la Divina Commedia, offre preziose occasioni per sfiorare gli orizzonti della conoscenza, dell’emozione e del pensiero. Forse perché le sue terzine esprimono una bellezza universale o “inevitabile”, o forse semplicemente perché sperare è bello. Scrive nel canto XXV del Paradiso che spera di tornare a Firenze grazie al suo poema sacro e alla bellezza della sua opera. Chiosa infatti “Ritornerò poeta”, prima di mettersi a parlare di speranza, con San Giacomo maggiore.

Se mai continga che ’l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m’ha fatto per molti anni macro,

vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;

con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò ’l cappello;

Dante confida nella possibilità di essere “incoronato” a Firenze come usava per i poeti antichi. Nel 1315, gli onori del lauro poetico erano stati concessi ad Albertino Mussato, a Padova, che ricevette l'onorificenza per la tragedia Ecerinis e per la Historia Augusta (spedizione di Enrico VII in Italia negli anni 1310-13). Dante si era interessato della vicenda di Enrico VII, anche collocando il tiranno Ezzelino III da Romano nel XII canto dell’Inferno. La storia del “Dracula italiano” tornerà in Paradiso, IX.

Si rafforza, nei suoi versi, il senso di dispiacere provato da Dante all’idea che la sua città non lo avesse ancora ripreso ‘nell’ovile’ della sua gioventù. Che la bellezza dell’opera dantesca meritasse il riconoscimento del lauro a noi sembra evidente, ma anche i  contemporanei di Dante lo avevano chiaro: lo ricaviamo dalle celebrazioni funebri che Guido Novello, signore di Ravenna, organizzò per la sua morte.

La prospettiva di bellezza auspicata da Dante era la stessa che Dostoevskij, secoli dopo, avrebbe detto capace di "salvare il mondo". Già al tempo di Dante, comunque, ai quattro trascendentali enucleati da Filippo il Cancelliere per indicare la possibilità dell’esistenza divina (ens, unum, verum et bonum) Guglielmo di Alvernia aveva aggiunto pulchrum, ossia la bellezza, dal pensiero di pseudo-Dionigi l’Areopagita. La bellezza e l’esistenza si legano in un nodo sempre più stretto e libero, mentre si sono appena compiuti i 7 secoli dalla scomparsa del "Poeta del Bello" per antonomasia.

Immagine: dettaglio del quadro di Eugène Delacroix: La barca di Dante, 1822, Musée du Louvre, Parigi