Oggi facciamo un breve viaggio nella storia dell’arte tattile, dalla sua nascita con il manifesto di Marinetti, passando per l’arte di Munari e la pedagogia di Maria Montessori, fino a raggiungere i giorni nostri, con una intervista a Lucilla D’Antilio, artista e formatrice non vedente.
Filippo Tommasi Marinetti fu il primo a parlare di arte tattile. Lo fece nel 1921 attraverso il Manifesto del tattilismo. Marinetti condusse il primo dei suoi esperimenti tattili, nel sotterraneo buio di una trincea a Gorizia, ovviamente durante la guerra. Mettendosi nei panni di un cieco, cominciò ad usare il tatto per conoscere gli ambienti totalmente al buio.
Nel 1948 Bruno Munari fondò, insieme a un gruppo di artisti, il Movimento per l'arte concreta (MAC). Il suo lungo percorso creativo cominciò negli anni Quaranta e fu sempre caratterizzato da una forte attenzione ai temi della multisensorialità. L'artista realizzò numerose Tavole tattili fino all’ideazione dei Laboratori tattili per l'educazione artistica dei bambini perché diceva Munari: “la conoscenza del mondo è una conoscenza plurisensoriale”.
Nella prima metà del Novecento Maria Tecla Artemisia Montessori, nota come Maria Montessori, sviluppò il suo innovativo modello educativo, avvalendosi di numerosi materiali, con particolare riferimento a quelli inerenti l’educazione sensoriale e della mano, quest’ultima considerata da lei stessa come “l’organo dell'intelligenza”.
Ed eccoci giunti ai giorni nostri.
Per capire come si è evoluta l’arte tattile, abbiamo posto alcune domande a Lucilla D’Antilio, artista e formatrice non vedente, che rappresenta una sintesi molto efficace dello stato dell’arte in Italia.
1. Ci racconti, in breve, la tua storia umana, professionale ed artistica, Lucilla?Ho cominciato da giovane a insegnare materie artistiche alle superiori, soprattutto progettazione grafica, presso diversi istituti d’arte, sia romani che laziali. Ho insegnato fino a 35 anni. Poi, una patologia virale mi ha portato alla graduale perdita della vista. Fino ad arrivare al 2013, anno in cui ho smesso di vedere completamente. Mi è stato revocato il contratto d’insegnante e sono stata spostata in ufficio, con mansioni che mi demotivavano fortemente, facendomi sentire sottoutilizzata. Appena ho potuto, ho scelto di andare in pensione e di mettermi alla ricerca di nuovi stimoli. Nel 2015 ho avuto finalmente la fortuna di incontrare l'Istituto Sant'Alessio di Roma. Dopo quasi vent'anni trascorsi nell’isolamento, ho seguito un corso di riabilitazione che mi ha concesso di accedere a un reale e completo percorso di autonomia.
Ho imparato ad usare il computer; mi hanno insegnato ad usare il bastone bianco; ho recuperato la mia passione per l’espressione artistica, attraverso un corso di manipolazione della creta, con cui ho cominciato a fare, attraverso la scultura, ciò che prima realizzavo con il disegno. Grazie all’uso delle mani ho recuperato l’80% della mia autonomia fisica, mentale e anche creativa.
2. Cosa è cambiato oggi nella scuola italiana, per gli studenti ciechi che vogliono studiare l’arte?Un tempo c’erano le scuole speciali. Oggi, almeno in linea teorica, la scuola è più inclusiva e chiunque dovrebbe poter studiare qualunque materia, compresa l’arte. L’errore più frequente è stato (e continua ad essere) l’esonero dei ragazzi ciechi dalle attività artistiche scolastiche. In passato l’insegnamento dell’arte a studenti ciechi si avvaleva prevalentemente per l’esercizio della memoria, senza passare mai alla parte pratico-manuale. Oggi, invece, le mani sono lo strumento al centro dei processi di apprendimento e realizzazione artistica. Tuttavia, un limite ancora molto forte, nei processi formativi attivati dagli insegnanti di arte che devono affiancare anche gli studenti non vedenti, sta nella trasmissione delle conoscenze legate all’esperienza del mondo della visione. In pratica: è complicatissimo spiegare ad un cieco cosa e come vede l’arte un vedente.
3. È possibile percepire, riconoscere ed apprezzare la bellezza delle opere d’arte anche attraverso il tatto?Dopo il mio pre-pensionamento dalla pubblica istruzione (in cui mi sono sentita fortemente sottoutilizzata) e con l’autonomia riconquistata grazie al corso di riabilitazione per ciechi, sentivo di avere ancora tanto da dare, sia in ambito formativo che artistico. Così, ho cominciato a collaborare con l’associazione Museum, consociata all’Unione italiana ciechi e ipovedenti, da anni impegnata nella diffusione del patrimonio culturale italiano, ancora oggi difficilmente fruibile dai non vedenti.
Con loro ho cominciato a fare formazione ai formatori (insegnanti, volontari, artisti) e, come dicevo, le mani sono diventate lo strumento al centro dei processi di apprendimento e di realizzazione artistica. In me è avvenuta una riscoperta del tatto come abilità diffusa, nell’acquisizione di una nuova consapevolezza estetica, che avevo io stessa sottovalutato.
4. E se si volesse promuovere l’esperienza della tattilità, dal punto di vista artistico ed estetico, non solo presso i ciechi, ma anche presso i vedenti, quali percorsi si potrebbero attivare?Il mio lavoro consiste proprio nell'intermediazione tra il mondo della visione e quello del non vedente. Sta nel far comprendere al cieco l'esperienza visiva, per comunicarla e farla conoscere. Ora l'Europa ha chiesto a tutti i musei di attivare percorsi accessibili all’arte tattile. L'idea sarebbe quella di aprire spazi di arte tattile a tutti, vedenti e non.
Ad esempio, si potrebbe esplorare una scultura, prima indossando una benda e successivamente riesplorando la stessa scultura con la vista. Dopo si potrebbero descrivere entrambe le esperienze di esplorazione. Potremmo scoprire delle cose molto interessanti, per esempio, che la memoria tattile è di gran lunga più durevole e dettagliata di quella visiva e che le mani possono essere una vera e propria estensione della nostra vista, “l’organo dell'intelligenza” come lo definiva Maria Montessori.
Questa breve trattazione sull'arte tattile è giunta alla fine, con l'auspicio di aver maggiormente stimolato l'uso del tatto sia nei vedenti che non.
Ringraziamo Lucilla, che ci saluta con una sua ultima sollecitazione: “gli occhi possono essere ingannati - per esempio con l’illusione ottica - ma le mani no, le mani non le inganni!”