Sono almeno 4,9 milioni le tonnellate di plastica finite in mare nel 2010, secondo uno studio pubblicato da Science. Anche l’Europa, nonostante la crescente sensibilizzazione dei cittadini di stati come l’Italia, contribuisce alla triste statistica e “il 70% di tutti i rifiuti marini dell’UE” è fatto di soli 10 prodotti monouso. Contenitori per alimenti, posate, cannucce, salviette umide e altri sono elencati nella pagina della direttiva SUP (Single use plastic). In vigore dal 3 luglio 2021, vieta alcuni prodotti monouso e stabilisce i requisiti di marcatura. Ma il problema è più ampio, e per l’australiana Commonwealth Industrial and Scientific Organization (Csiro) l’anno scorso sul fondo dell’oceano c’erano ben 14,4 milioni di tonnellate di microplastiche. Greenpeace ha stimato quante ce ne tornano in tavola attraverso il pescato del Tirreno. Come si fa a contenere un fenomeno cui contribuisce anche la necessità di prodotti medicali e di sterilizzazione? Si può scegliere di riusare abiti, mobili e altri prodotti, acquistandoli tra negozi e piattaforme online come Vestiaire Collective, Depop e Vinted. Piattaforme che però, nonostante i 10 miliardi di investimenti raccolti in dieci anni, sono in rosso: la sola Vinted ha perso 23 milioni di euro, in due anni. Un’altra idea, un po’ più romantica, arriva dalle nuove produzioni di tessuti in filato di plastica riciclata, che proviene anche dagli oceani. Minimizzano le emissioni di CO2 e il consumo d’acqua, ripuliscono l’ambiente e aiutano la moda, con molti brand anche italiani che adottano lo spirito della sostenibilità auspicata dall’ONU nel 2019 con il programma Alliance for Sustainable Fashion.