Purtroppo, non possiamo negare che la parola crisi accompagni trasversalmente l’epoca contemporanea, passando da quella pandemico-sanitaria a quelle geopolitica, energetica ed economica, per non parlare dell’evidente crisi climatica in atto, causa dei disastri naturali all’ordine del giorno nei vari bollettini nazionali. Se nell’etimo della parola stessa, derivante dal verbo greco krino “separo, distinguo”, è implicito il significato di “cambiamento repentino e drastico”, tuttavia il protrarsi nel tempo di questa condizione destabilizzante, e il suo amplificarsi in moltissimi ambiti, ha dato luogo ad un termine ancora più calzante, che ne sottolinea l’ampio raggio d’azione e la “longevità”: permacrisi. Composta dall’aggettivo permanente e dal sostantivo crisi, questa parola nasce in terra britannica già negli anni Settanta (Giuseppe Antonelli, Corriere della sera.it, 1° novembre 2022, Esteri), ma viene ripresa dall’italiano solo negli ultimi tempi per indicare “il susseguirsi e sovrapporsi di situazioni d’emergenza”. È stata citata pubblicamente in questi termini anche dal direttore dell’OMS Europa Hans Kluge durante l’European Ealth Forum di Gastein (2021) e, addirittura, è stata scelta dall’inglese Collins Dictionary come Parola dell’Anno 2022.
Restando in tema, non ci resta che dare libero sfogo all’ecoansia, espressione sempre più frequente negli articoli e nei servizi giornalistici che descrivono il “timore per il futuro di molti cittadini a causa dell’evidente crisi climatica in atto”. Si tratta di una parola probabilmente ricalcata sull’inglese eco-anxiety, composta dalla parola ansia “angoscia, apprensione” preceduta dal prefisso di origine greca eco-, nel significato di “ciò che ha a che fare con l’ambiente”. Un sondaggio effettuato in dieci paesi da The Lancet Planetary Health nel 2021 ha dimostrato che, su diecimila giovani tra 16 e 25 anni, circa i tre quarti considera il futuro “spaventoso” e che la metà si dichiara “ansioso, arrabbiato e colpevole” della crisi climatica: senza dubbio sono queste le generazioni che più soffrono le conseguenze della crisi, a trecentosessanta gradi! A proposito, tra le proposte italiane d’avanguardia, citiamo l’Università della Valle d’Aosta che dal 2017 ospita il primo corso nazionale sull’eco-psicologia, progettato dai docenti Giuseppe Barbiero e Marcella Danon (già fondatrice della scuola di ecopsicologia Ecopsiché, in provincia di Lecco) per considerare la natura come “partner psicologico”.
Terminiamo la nostra “carrellata climatica” con una parola esotica: Kaitiakitanga. Si tratta di un termine della lingua Maori diffusosi, pensate un po’, durante la COOP 26, il 26esimo vertice dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, tenutosi nel 2021 a Glasgow, in collaborazione con l’Italia. Potremmo tentare di tradurre Kaitiakitanga con “responsabilità della gestione ambientale”, perché l’immagine che la parola neozelandese evoca è proprio quella di un “guardiano” (kaitiaki) della terra, del cielo e delle acque, ossia l’uomo che si impegna nella salvaguardia dell’ambiente che lo ospita e con il quale ha una relazione simbiotica. La parola è sicuramente conosciuta in inglese, tanto da essere presente nella versione online del Cambridge Dictionary: chissà se tra qualche anno sarà riportata anche dai nostri vocabolari?!