“Inseguo il sogno di una casa vivente, versatile, silente, che s'adatti continuamente alla versatilità della nostra vita, anzi la incoraggi, con cento risorse che noi architetti insegneremo, arricchendola, con pareti e mobili leggeri; una casa variabile, simultaneamente piena di ricordi, di speranze e di coraggiose accettazioni, una casa "per viverla" nella fortuna e anche nelle malinconie, con quel che ha di immobile e fedele, e con quel che ha di variabile ed aperto ed aprendone le finestre finché v'entrino nel loro giro, sole e luna e l 'altre stelle, e tutto è movimento, chi scende e chi sale nel mistero della crescita, e chissà cosa vedrà”.
Così scriveva nel 1933 Giovanni Ponti, detto Gio, illuminato architetto e designer che riuscì abilmente a reinventare lo stile italiano e ad esportarlo nel mondo. Con la sua grande passione e la sentita vocazione per l’arte ha contribuito ad innovare la storia dell’architettura e a ripensare gli spazi domestici. Mai come adesso questi ultimi destano la nostra attenzione, legati come siamo storicamente a questa temporanea calamità chiamata Covid. Le pareti delle nostre case, nell’ultimo anno, hanno determinato il perimetro della nostra esistenza. Pensando alle parole di Ponti obbligatoriamente abbiamo fatto ricorso a una casa “vivente, versatile, che s'adatti continuamente alla versatilità della nostra vita”.
Nel mutare quotidiano delle nostre esigenze lavorative, le cucine si sono convertite in frugali uffici, le stanze notturne in ricovero temporaneo per un collegamento in una conferenza veloce e molte altre combinazioni dettate dalle esigenze quotidiane e dalle presenze coatte degli abitanti sotto lo stesso tetto. La forzata permanenza nelle nostre dimore ha evidenziato certamente ciò che c’è di fallace negli spazi, nella resa abitativa e soprattutto ci ha portato a riflettere fuori dall’uscio di casa agli spazi in prossimità. Una ricerca pubblicata da Arup, società di ingegneria internazionale, condotta su 5mila residenti a Milano, ha evidenziato che il 39% degli intervistati ha raccontato che, dopo l’esperienza del lockdown, ha compreso che la propria casa è inadatta alle necessità quotidiane e considera per un cambio di abitazione. Lo stesso sondaggio realizzato a Berlino (30%), Madrid (37%) e Londra (41%) ha confermato lo stesso risultato. È diventato urgente migliorare la qualità degli spazi vitali dentro e fuori le mura domestiche. Confermato quest’ultimo dalla teoria di una “città da 15 minuti”, lanciata dal direttore scientifico della Sorbona di Parigi, Carlos Moreno, dove tutti i servizi primari possano essere raggiungibili in questo lasso di tempo, con l’ausilio di una bicicletta o a piedi per un giusto appello all’ecologia, per creare occasioni di scambio negli spazi umanizzati, per una socialità benevola a favore delle periferie. Inevitabile, tra un’indagine e l’altra, un pensiero a chi non può scegliere che tipo di tetto avere sopra la propria testa o si trova a non averlo comunque e per questo, in conclusione ritorno nuovamente alle parole di Gio Ponti: “rivolgendomi a voi inseguo l'immagine di una nuova società umana; questa immagine non è un miraggio irraggiungibile, e sta a noi sognarla per raggiungerla perché nessuna cosa si è avverata che non fosse dianzi sognata”.