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Una lingua bestiale

Scritto da A cura di Lucilla Pizzoli | 6-giu-2023 15.04.00

Abbiamo visto quanto i modi di dire abbiano preso ispirazione dal mondo animale ma, forse, possiamo ancora scovare qualche sentiero poco battuto. Esaminiamo per esempio la parola bestia, che compare anche nell’espressione bestia nera. Qui non viene indicato un animale dal manto scuro, bensì “una persona o un evento che diventano angoscianti per qualcuno, una fonte di preoccupazione o addirittura di ossessione”.

Anche in francese ritroviamo il modo di dire c'est ma bête noire, che possiamo tradurre con espressioni come “è il mio incubo, è la cosa o la persona che più detesto”. Ad esempio, per uno studente, una determinata materia o un esame che risultano particolarmente difficili possono rappresentare la sua “bestia nera”. Possiamo associare questo modo di dire ad alcune superstizioni che vedono in vari animali di colore nero un alleato diabolico: nel Medioevo europeo il gatto nero veniva considerato il consorte delle streghe, ma anche nelle antiche leggende britanniche ricorre la figura di uno spirito maligno che compare sotto forma di un grande cane nero con occhi fiammeggianti e pelo irsuto, alla cui figura si è ispirato anche Arthur Conan Doyle per il suo celebre terzo romanzo Il mastino dei Baskerville
Un’espressione simile è essere una brutta bestia, che indica “una situazione o una persona difficili da affrontare”: il mal di denti, ad esempio, può essere davvero una brutta bestia!
Passando al termine animale, che troviamo tra i prefissi, generalmente rappresentato dal termine di origine greca zoo- “animale”. Sono moltissime le parole formate in questo modo, come giardino zoologico (o lo zoo), zoomorfo “dall’aspetto animale”, zoofilo “amante degli animali”, ecc.
Il termine animale è usato anche per identificare in una persona “un’istintiva e particolare attitudine in una determinata attività”. Ad esempio, l’espressione essere un animale da palcoscenico, indica “chi è particolarmente accattivante e carismatico dell’intrattenere un pubblico di spettatori”. Possiamo usare quest’immagine non solo per definire un attore, un cantante o un presentatore, ma anche – al di fuori dell’ambito lavorativo – quando qualcuno è particolarmente a suo agio nel parlare in pubblico o intrattenere gli amici con barzellette divertenti. Funziona allo stesso modo l’espressione essere un animale politico (che riprende il concetto aristotelico dell’uomo come zòon politikòn), ossia “essere una persona portata per la vita comunitaria e sociale”. 
In opposizione al concetto di animale selvatico, poi, abbiamo l’espressione animale domestico, che può includere sia i cosiddetti animali da compagnia (cane, gatto, coniglio, tartaruga, criceto, pesce rosso, ecc.), sia gli animali addomesticati, cioè “che vivono in condizione permanente con l’uomo fornendogli prodotti o servizi e ricevendone cure e alimentazione”. Parliamo, ad esempio, di cavalli, mucche, pecore, capre, asini, maiali, galline e, in generale, le varie specie da allevamento. Non siamo, invece, di fronte ad animali domestici quando ci rechiamo al bioparco (o giardino zoologico). In questo caso incontriamo delle specie originariamente selvatiche che vivono in cattività. Questa espressione deriva dal latino captivitatem “prigionia” ed è il naturale contrario di libertà e autonomia. Purtroppo, la condizione di cattività può prevedere la presenza di recinti (da recingere “racchiudere”) o addirittura di gabbie (dal latino caveam), che impediscano la fuga degli animali o l’aggressione di esseri umani. Si tratta ovviamente di una condizione di costrizione, e proprio per questo troviamo alcuni modi di dire che fanno uso di quest’immagine, come meglio essere uccel di bosco che di gabbia, cioè “meglio vivere liberi che prigionieri”, oppure l’espressione vivere in una gabbia dorata, per indicare “un luogo o una situazione che, pur offrendo benessere, limita la libertà di agire”. In senso scherzoso, invece, possiamo definire una gabbia di matti “un gruppo di persone che vivono in modo scombinato e talvolta litigioso”. E voi, in che gabbia vi sentite?