"Diversa da tutte le campagne di pianura e di collina, la campagna ligure sembra, più che una campagna, una scala". Così Italo Calvino racconta la sua Liguria magra e ossuta in uno dei primi articoli dove già si coglie la sua attenzione per la "forma del mondo". Il mondo scritto opposto dialetticamente a quello non scritto tornerà spesso, accanto a temi di scienza e natura.
Calvino trascorre l'infanzia a Sanremo, nella stazione sperimentale di floricoltura diretta da suo padre Mario. La madre, Eva Mameli (una delle prime donne italiane con incarichi di insegnamento universitario), è una studiosa di botanica. La profonda conoscenza dei fenomeni naturali ispira racconti come "Il giardino incantato" (da Ultimo viene il corvo) dove il paesaggio descritto assume un peso narrativo quasi equivalente a quello dei protagonisti, due bambini che "...venivano su guardinghi calpestando ghiaia: forse le vetrate stavano per spalancarsi tutt'a un tratto e signori e signore severissimi per apparire sui terrazzi e grossi cani per essere sguinzagliati per i viali." La natura "artificiale" di Marcovaldo (1963) è l'unico orizzonte possibile per una famiglia di contadini inurbati mentre la predilezione per il linguaggio esatto della scienza, nata dalla consuetudine della famiglia Calvino, si somma all'impegno politico e civile da narratore della Resistenza.
Il racconto della realtà nelle pagine dell'autore non è un atto mimetico e, anche se la più nota (forse la più amata) delle sue lezioni americane è quella sulla leggerezza, è nell'esattezza delle parole che misuriamo la forza di libri come Le città invisibili o di molti suoi saggi dove la velocità del mondo che muta è rispecchiata nel ritmo narrativo. Curioso cercatore di punti di riferimento, più che di semplici vincoli formali, alle prese con un mondo che cambia sempre (Cibernetica e fantasmi) Calvino rifletteva sulla tecnologia e sulla filosofia capaci di dissolvere le categorie del tempo e dello spazio: "Volare," scrive in Se una notte d'inverno un viaggiatore, "è il contrario del viaggio: attraversi una discontinuità dello spazio, sparisci nel vuoto, accetti di non essere in nessun luogo per una durata che è anch’essa una specie di vuoto nel tempo; poi riappari, in un luogo e in un momento senza rapporto col dove e col quando in cui eri sparito.” E ancora il paesaggio contrapposto al punto di vista del narratore nel bellissimo saggio-quasi-poesia Dall'opaco dove l'autore sottolinea: "per descrivere la forma del mondo la prima cosa è fissare in quale posizione mi trovo".
Sono spunti che diventeranno quasi una meditazione per il Signor Palomar: "Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose," afferma il personaggio, "ci si può spingere a cercare quel che c'è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile" e "l'universo è solo lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi".
Tra le fonti:
ITALO CALVINO, Saggi 1945–1985, II, a cura di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, 1995 («I meridiani»), p. IX.
ITALO CALVINO, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980 («Gli Struzzi»), ora in ID., Una pietra sopra, Milano, Mondadori, 1995.
ITALO CALVINO, Sotto quella pietra, «La Repubblica», 15 aprile 1980. Il testo fu scritto in origine come prefazione al volume Una pietra sopra, quindi utilizzato in forma autonoma e pubblicato. ID., Appendice, Sotto quella pietra, in Saggi 1945–1985, II, a cura di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, 1995 («I meridiani»).