Nella cultura medievale la pantera, termine che si prestava a indicare diversi tipi di fiere, era un animale dotato di un profumo inebriante, capace di attirare a sé, irresistibilmente, le proprie prede. Nei bestiari coevi ne viene fornita una doppia interpretazione: una religiosa, dove il felino corrisponderebbe a Cristo - e il dragone suo avversario al demonio - e una cortese, dove esso simboleggia la donna amata.
Il riferimento che ne fa Dante, nel “De vulgari eloquentia”, è invece più specifico: il poeta paragona la pantera, che lascia lungo il cammino il suo incantevole odore, ma che si rintana e non è mai visibile, al volgare “illustre”; dopo aver cercato la belva per i boschi e i pascoli di tutta Italia ed essersi appostato invano in più occasioni nel tentativo di farla prigioniera, l’Alighieri afferma che proverà ora a catturarla con le armi della ricerca e dello studio (VE I XVI 1).
Nell’immagine dell’illustratore argentino Seba Armstrong l’incontro tra i due diventa diretto: il Sommo Poeta e lo sfuggente animale sono finalmente l’uno di fronte all’altro e sembrano scrutarsi a vicenda. Il profilo dantesco, fortemente scorciato, si contrappone alla sagoma frontale della pantera che, pur nella sciolta fantasia grafica del disegnatore, appare con le zampe ben saldate al terreno e in posizione sopraelevata. Questo muto e misterioso dialogo è inquadrato da rapidi cenni a una vegetazione che non è ancora quella della fitta e minacciosa selva oscura, ma che ne rappresenta certamente una via di accesso.