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A posto o apposto: il fenomeno del raddoppiamento fonosintattico

Scritto da Aldina Giulia Villari | 2-nov-2023 12.19.30

L’italiano parlato, specialmente in alcune zone geografiche (Toscana e Italia centro-meridionale), presenta un fenomeno che genera frequenti innovazioni (ed errori) nella forma scritta: trattasi del cosiddetto “raddoppiamento fonosintattico”, ovvero il rafforzamento della pronuncia delle consonanti inziali di alcune parole in contesti specifici.
I contesti specifici sono: dopo una parola di accentazione tronca (“perché mai”, che si pronuncia “perché mmai”), dopo un monosillabo accentato (“è servito”, che si pronuncia “è sservito”), dopo alcuni monosillabi non accentati (“chi sei”, che si pronuncia “chi ssei”), dopo parole come sopra, qualche, come (“qualche volta”, che si pronuncia “qualche vvolta”).
In Toscana questo fenomeno è particolarmente forte e si estende a pronunce di forme dialettali come “icché ttu vvoi”. Anche a Roma il fenomeno è forte ma ha caratteristiche differenti: prettamente romani sono, per esempio, le pronunce “la ssedia”, “ce ll’ho”.
Il raddoppiamento fonosintattico ha dato origine ad alcune parole che oramai si sono fissate nella forma scritta: il sopracitato cosiddetto, e ancora affresco, dapprima, davvero, frattanto, neppure, soprattutto, solo per fare alcuni esempi. In alcuni casi sono ammesse due grafie, come nel caso di da principio/dapprincipio o, per l'appunto, sopraccitato/sopracitato, entrambi validi.
Ci sono però dei casi parole e di gruppi di parole che possono trarre in inganno poiché hanno la stessa pronuncia ma diversa grafia e diverso significato. Si tratta in particolare di: apposto, participio passato del verbo apporre (“porre sopra”) e la locuzione avverbiale a posto (scritto tutto attaccato forse anche per analogia con l’avverbio apposta); avvolte, participio passato del verbo avvolgere e la locuzione avverbiale a volte; affianco, indicativo presente prima persona singolare del verbo affiancare e la locuzione avverbiale a fianco. In questi casi è veramente necessario utilizzare la forma corretta: altrimenti, oltre a confondere il lettore, si rivelerebbe l’ignoranza di alcune forme verbali di uso comune.