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La nascita della poesia italiana

Scritto da Aldina Giulia Villari | 25-gen-2024 9.00.00

Dante Alighieri è considerato pienamente a ragione il padre della letteratura italiana: la sua Commedia è un capolavoro artistico che si pone di per sé stesso ed è stato riconosciuto nel tempo come una pietra miliare.
Tra gli altri aspetti che fanno di questo poema un’opera fondativa, c’è quello linguistico: così come osservato da Tullio De Mauro nella postfazione al Grande dizionario italiano dell’uso (UTET), la Commedia ha contribuito alla formazione di quel gruppo di parole (circa duemila) che costituisce il vocabolario fondamentale dell’italiano, che alla fine del Trecento aveva già raggiunto il 90% della sua attuale configurazione.
L’opera di Dante è nuova e rivoluzionaria da molti punti di vista, persino nei confronti della letteratura precedente: a questa l’autore si ricollega con l’esplicito intento di compiere un superamento.
Poco prima di Dante e della Commedia, infatti, nella seconda metà del Duecento, si era creato in Italia un movimento poetico che presentava tutti i caratteri di una vera e propria Scuola, che intendeva iniziare la tradizione letteraria italiana in volgare in continuità con quella già esistente da oltre cent’anni nel sud della Francia, la prima in una lingua volgare romanza, la lirica dell’amor cortese dei trovatori in occitano.
Si tratta della Scuola Siciliana, movimento poetico nato dall’impulso del sovrano svevo Federico II, il quale aveva compreso il ruolo fondamentale della cultura nella fondazione di uno stato unitario, facente capo al potere laico dell’imperatore.
È così che i funzionari della sua corte di Palermo, gli unici non ecclesiastici colti del tempo, cominciarono a tradurre nella loro lingua i temi della poesia dell’amor cortese trobadorica, adattando alla propria prosodia le forme metriche già in uso in quella occitana.
Per l’unitarietà, la qualità e la quantità dell’opera di questi poeti, è possibile dunque affermare che la letteratura italiana nasce in siciliano. Questa lingua, di cui ci sono rimaste pochissime tracce originali a causa della volontà del Papa e degli Angioini di cancellare la memoria di Federico II, non ha tuttavia le caratteristiche di un vernacolo: trattasi infatti di lingua illustre, che conserva la patina siciliana solo dal punto di vista fonico.
A Giacomo Da Lentini, Guido delle Colonne, Pier delle Vigne, Jacopo Mostacci, Cielo d’Alcamo, solo per nominarne alcuni, dobbiamo non solo di avere dato inizio alla nostra poesia ma anche di averlo fatto in forme originali: al caposcuola Giacomo dobbiamo infatti l’invenzione del sonetto, il genere più longevo e di successo di tutta la letteratura occidentale.
A loro si deve inoltre probabilmente la scissione tra musica e poesia, ancora intrinsecamente legate nella tradizione trobadorica e oggi considerate due forme d’arte separate.
Approfittiamo dunque per rileggere due brevi testi di questa grande tradizione letteraria, cui Dante stesso si pose in dialogo come poeta: la prima strofa del celebre contrasto di Cielo d’Alcamo Rosa fresca aulentissima, unico testo trasmesso nella forma originale siciliana:

«Rosa fresca aulentis[s]ima ch’apari inver’ la state,
le donne ti disiano, pulzell’ e maritate:
tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate;
per te non ajo abento notte e dia,
penzando pur di voi, madonna mia».

e il sonetto Diamante, né smiraldo, né zafino di Giacomo da Lentini:

Diamante, né smiraldo, né zafino,
né vernul’altra gema prezïosa,
topazo, né giaquinto, né rubino,
né l’aritropia, ch’è sì vertudiosa,

né l’amatisto, né ’l carbonchio fino,
lo qual è molto risprendente cosa,
non àno tante belezze in domino
quant’à in sé la mia donna amorosa.

E di vertute tutte l’autre avanza,
e somigliante [a stella è] di sprendore,
co la sua conta e gaia inamoranza,

e più bell’e[ste] che rosa e che frore.
Cristo le doni vita ed alegranza,
e sì l’acresca in gran pregio ed onore.