Il Dante segreto di Franco Battiato

La poesia è l’ammirazione del Dio nascosto in ogni cosa; il sorprendente riaffiorare del soprannaturale nell’incessante caos del quotidiano. Quando si parla di bellezza non si può non parlare di poesia. Come una forza angelica, essa ignora lo scorrere del tempo, dei secoli, reincarnandosi in forme sempre più nuove pur mantenendo intatto lo spirito primordiale della creazione. La poesia è il seme divino dell’arte.

Siamo attraversati dallo stupore nell’ascoltare i versi di Dante cantati da Franco Battiato nel suo Testamento, nel punto in cui riprende il ventiseiesimo canto dell’Inferno: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Dopo sette secoli, il successo comunicativo della canzone d’autore è frutto del medesimo ragionamento adottato da Dante, che abbandonò i colti latinismi per il volgare. Battiato introduce segretamente l’eterno Dante nei distratti meccanismi della cultura pop. I legami tra i due poeti sono molteplici e alquanto sommersi. Entrambi svincolano la poesia dalla materialità della passione terrena: “emanciparmi dall’incubo delle passioni” recita Battiato in E ti vengo a cercare, intenzionato a intraprendere lo stesso viaggio dantesco per “cercare l’uno al di sopra del bene e del male”.

Dante e Battiato percorrono il sentiero dell’ascesi a metà tra il visibile e l’invisibile, nel difficile tentativo di ritrovare “l’alba dentro l’imbrunire” in quell’oscurità che tanto spaventò il Poeta smarrito nella selva tenebrosa. La risposta è nel secondo canto dell’Inferno. Sopraffatto dalla visione delle tre fiere, Dante vorrebbe tornare indietro ed esprime a Virgilio i suoi dubbi. Egli sa di non essere inviato da Dio, come per Enea, né come San Paolo che, allo stesso modo, compì da vivo un viaggio nell’oltretomba. Ma Beatrice compare a Virgilio nel Limbo, immersa nella luce celeste, per chiedergli di proteggere Dante e guidarlo verso la salvezza. Beatrice abbandona il suo beato scranno, superando “le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce”, per dire a Dante che ciò che lo muove è l’amore: “l’immagine divina di questa realtà”. Negli occhi di Beatrice risplende la luce accecante del volto di Dio, che non può esser visto direttamente, ma solo attraverso l’amore.

Nel continuo riemergere del metafisico, Battiato sembra volerci lasciare proprio Dante, il Sommo, trasmettendoci gli ultimi versi del suo Testamento in musica: “peccato che io non sappia volare, ma le oscure cadute mi hanno insegnato a risalire”, sì, fino a “riveder le stelle”.

Immagine di rabendeviaregia: Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic license

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