Chi di noi vive in un appartamento è probabile che sia anche l’abitante di un palazzo, nell’accezione di “grande edificio moderno d’abitazione”. Tuttavia, sappiamo bene che esistono palazzi di tutt’altro genere, come quelli di grandi dimensioni e pregio appartenuti alle antiche famiglie nobiliari, o esempi di architettura civile cittadina di cui l’Italia è costellata.
Queste imponenti costruzioni, testimonianza tangibile delle diverse epoche e della varietà di stili architettonici, sono oggi in alcuni casi aperte al pubblico, che può ammirarne la magnificenza come dimore storiche o sedi museali. Facciamo l’esempio di Palazzo Ducale a Venezia, sede dell’allora Doge (esito veneziano del latino ducem “comandante”, carica suprema della Repubblica di Venezia); il fiorentino Palazzo Vecchio e il bolognese Palazzo d’Accursio (entrambi sede del Comune dal Trecento); il Palazzo Reale di Milano, che ha ospitato vari membri delle famiglie Visconti e Sforza, la Segreteria e il Consiglio di Stato durante il periodo napoleonico e la monarchia sabauda nell’Ottocento; Il Palazzo Reale di Napoli (nato nel Seicento come residenza del Re di Spagna Filippo III d’Asburgo e poi passato ai Borbone, e ai Principi di Piemonte dopo l’unità d’Italia); Il Palazzo dei Normanni a Palermo, che rappresenta la più antica residenza reale d’Europa. La lista di bellezze è pressoché inesauribile: non basterebbe una vita per visitarle tutte!
Di grande interesse è anche l’origine della parola palazzo, derivante dal nome latino del monte romano Palatiu(m) “Palatino” che, nel corso del tempo, è stato attribuito anche al complesso di edifici imperiali che vi sorgeva. Durante la Repubblica vi abitavano, in residenze ancora separate, personaggi di spicco come Cicerone e Catullo; poi Augusto e gli imperatori successivi vi costruirono le proprie sfarzose abitazioni realizzando nel tempo un unico grande complesso, fino a quando Domiziano non lo ricostruì con le magnificenti sembianze di un palazzo principesco con ippodromo e terme, che resisterà fino alla fine dell’impero. In seguito a queste vicende romane, il vocabolo (che dalle fonti circolava già con questa accezione proprio all’epoca di Tacito) entrò nell’uso comune passando a definire “qualsiasi edificio di rilievo”. Bisogna notare che nell'italiano letterario (ad esempio di Boccaccio, Pulci o Parini) possiamo incontrare la variante palagio, conservata ancora oggi nei nomi di alcuni edifici fiorentini come il Palagio di Parte Guelfa. Il linguista Bruno Migliorini, nella sua Storia della lingua italiana, afferma che nel Cinquecento i fautori di un italiano “universale” ed “elegante”, rispetto all’uso di forme troppo idiomatiche del toscano e del fiorentino, abbiano preferito conformarsi alla fonetica latina diffondendo la forma palazzo piuttosto che palagio.
Concludiamo ricordando come, nelle locuzioni congiura di palazzo e dama di palazzo, il termine indichi “la corte reale” mentre, in ambito giornalistico, la parola palazzo viene usata per descrivere “gli organismi di potere” (es. Le decisioni del palazzo; voci di palazzo). Attenzione, quindi, perché a palazzo non tutto è ciò che sembra!
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