Agli albori di murales e fumetti: scritture esposte e visibile parlare

 Avete mai sentito parlare delle scritture esposte? Probabilmente no, anche se ne avrete viste a centinaia passeggiando per le vie delle vostre città. Si tratta di una definizione coniata dal celebre paleografo, medievista e codicologo Armando Petrucci, per indicare le modalità di scrittura (verbale e/o visuale) finalizzate ad una lettura di massa e generalmente poste in luoghi aperti, su superfici esposte, che ne permettono una fruizione più ampia, differente dalla lettura individuale di testi scritti sul supporto cartaceo dei libri.  


Nella contemporaneità, appartengono a questa categoria non solo i graffiti o murales, ma anche le insegne, le pubblicità affisse per strada (i cosiddetti cartelloni) e gli striscioni. Tuttavia, quella delle scritture esposte non è una pratica nata ai giorni nostri: ne abbiamo moltissimi esempi provenienti dall’antichità, come i primi graffiti in volgare romanzo che troviamo in alcuni luoghi sacri a Roma (sono celebri l’iscrizione della basilica San Clemente e il graffito della catacomba di Commodilla), oppure i veri e propri programmi di esposizione grafica che coinvolsero alcune città, per volere dei propri governanti. Pensiamo per esempio alla Roma di papa Sisto V, che a fine Cinquecento aprì arterie stradali, costruì piazze ed innalzò obelischi lasciando innumerevoli scritti esposti, a testimonianza del proprio potere politico e spirituale: ancora oggi facciate di edifici, monumenti, colonne e archi ospitano le epigrafi sistine!
Tra le scritture esposte di un tempo possiamo annoverare anche il cosiddetto visibile parlare, altrimenti descritto come “parola dipinta” o “testo figurabile”, cioè la diffusione di testi, anche in rima, nella pittura tre-quattrocentesca, che si possono trovare su supporti extralibrari di vario genere: non solo affreschi ma anche monete, oggetti sacri, vetrate e arazzi. Nel testo Visibile Parlare: Agenda (2° ed. 1992) scritto dal filologo Claudio Ciociola, troviamo – tra gli altri – un bell’esempio di affresco, nel quale la parola ha preso incredibilmente spazio: si tratta del dipinto murale della cosiddetta Torre della Sapienza, conservato nel porticato della chiesa parrocchiale di San Giacomo di Averara (Bergamo, 1446). Siamo di fronte ad un incastro di colonne, capitelli e parole latine che compongono la figura della biblica Turris Sapientiae: il dipinto è realizzato a scopo mnemonico, ossia per incentivare i fedeli – specie quelli meno colti – a ricordare principi morali. Possiamo fare un secondo esempio ricordando una narrazione parietale in sequenza, che rappresenta il ciclo di storie di San Giorgio sulle pareti della chiesa di S. Giorgio in San Polo di Piave (Treviso): la fusione di immagini e inserti dialogati fa pensare a un testo che anticipa i moderni fumetti. In questo caso, nel primo capitolo della storia, troviamo raffigurato un dialogo in volgare, tra San Giorgio e la figlia del Re, che recita così: 
«[C]omo san Zorgi chavaliero trovò la do(n)zella solleta suso la riva de lo lago, e doma(n)dà che la faceva e quala naçion la era; ella respose: «lo son paga(n)na e fioll[a] de lo re de la cità, e aspeta uno drago che me debia ma(n)zare», e «Charo mesiere, tollé-ve via presto, che lui no(n) ve alçise». E sa(n) Zorzi dice: «Se tu vòi creder[e] in Iesu Christo e farete batizare, de questo drago(n) te voio liberare». Ella respose: «Mesiere, q(ue)sto voio fare». 
Immaginatelo diviso in riquadri affrescati su una parete: non vi sembra di leggere un fumetto?! 
Sapevate che questo nuovo modo di narrare storie a capitoli sulle pareti (che tanto ricorda le nostre tavole illustrate) non andava a genio proprio a tutti? Lo stesso Leonardo Da Vinci era particolarmente insofferente a questa modalità, per ragioni prevalentemente prospettiche. Possiamo infatti leggere un estratto del celebre Manoscritto B dell’autore, che recita così: 
«Questo universale uso, il quale si fa pe’ pittori nelle faccie delle cappelle, è molto da essere ragionevolmente biasimato, imperoché fanno l’una storia in un piano col suo paese e edifizi, po’ s’alzano uno altro grado e fanno una storia e variano il punto del primo, e poi la terza e la quarta, in modo ch’una facciata si vede fatta con quattro punti, la quale è somma stultizia di simili maestri» (cit. nel volume Scritti scelti di Leonardo Da Vinci, curato da A.M. Brizio: Torino, UTET 1966, 40, pp. 197-98). 
Chi lo avrebbe mai detto e, soprattutto, chissà come si sarebbe pronunciato Leonardo se fosse vissuto ai nostri giorni?!

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