Per affrontare un focus sulla parola biodiversità, ci lasceremo guidare da due esperti: un divulgatore scientifico e un linguista.
Cominciamo dal primo. Nel suo documentario del 2020 “Una vita sul nostro pianeta”, David Attenborough denuncia la gravità dei danni che l’essere umano ha provocato sull’ambiente, mostrando gli scenari futuri nel caso non si deciderà di intervenire e descrivendo con esattezza quali interventi sarebbero necessari per ristabilire quell’equilibrio che ha permesso alla vita sulla terra di prosperare finora.
Nella sezione finale del documentario dedicata proprio a questi ultimi, Attenborough afferma con chiarezza che:
“per ripristinare la stabilità del nostro pianeta, dobbiamo ristabilire la sua biodiversità, proprio ciò che abbiamo eliminato. È l’unica via di fuga da questa crisi che abbiamo innescato.”
Cos’è dunque la biodiversità? Osserviamo innanzitutto che si tratta di una parola composta da un prefisso, bio- derivante dal greco -βίος, “che vive”, aggiunto al sostantivo diversità.
In un recente intervento dedicato al tema delle parole “verdi”, il grande linguista Luca Serianni afferma che tale prefisso basta a riconoscere questa parola come una parola buona dell’ambiente:
“le parole buone sono quelle che indicano concetti positivi, che per fortuna si stanno affermando sempre di più. Sono parole composte da un elemento riconoscibile, che è eco-, il prefissoide di ecologia (per esempio ecosostenibile), oppure bio-, un prefissoide molto antico, che troviamo per esempio in biodegradabile.”
L’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ricorda che la parola biodiversità è stata coniata nel 1988 dall'entomologo americano Edward O. Wilson. Essa si definisce tecnicamente come “varietà delle forme viventi in un ambiente” e viene in genere studiata “a tre diversi livelli, che corrispondono a tre livelli di organizzazione del mondo vivente: quello dei geni, quello delle specie e quello degli ecosistemi.”
Facciamo un esempio pratico per dimostrare l’importanza della biodiversità per la vita sul pianeta. Nella prima parte del suo documentario, Attenborough tratta delle foreste pluviali, segnalando che l’essere umano ha distrutto la metà di questi ecosistemi nel mondo, deforestando e trasformando una parte di questi in monocolture di palma da olio. Una coltre verde che ad un occhio non esperto potrebbe sembrare un bene, tuttavia questo territorio composto solo di file ordinate di alberi è “un habitat defunto” a confronto con la foresta pluviale: solo in una piccola parte di queste, infatti, possono coesistere “anche settecento specie diverse di alberi, tante quante nel cuore del Nord America.”
Un habitat vivo è dunque un habitat nel quale sono presenti una molteplicità di esseri viventi animali e vegetali, in un equilibrio che si modifica sì nel tempo, ma secondo le regole della natura e senza l’intervento umano.
Salvaguardare la biodiversità è dunque il primo obiettivo da porsi per contrastare la catastrofe ambientale che l’uomo ha provocato. E per farlo, è necessario cominciare innanzitutto dal conoscerne la sua definizione.
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