Come ben noto non solo ai nativi digitali, i pixel, contrazione verbale dell’espressione inglese “picture elements”, sono le unità minime di un’immagine bitmap, ovvero quei minuscoli punti, molto ravvicinati tra loro, in grado di restituire alla nostra percezione una superficie visiva unica e continua. Il processo trova una sua curiosa anticipazione nella storia della pittura a cavallo tra XIX e XX secolo, nelle grandi composizioni pointilliste di Georges Seurat o in quelle divisioniste di Pellizza da Volpedo, dove i puntini o i piccoli tratti di colore puro applicati con il pennello, se osservati a una certa distanza, attivavano una reazione di fusione cromatica e di ricomposizione formale a livello ottico e cerebrale.
Ma tornando all’attualità, a chiedersi cosa accade se volutamente si dilati la tessitura dei pixel di un’immagine, scardinando i sottili equilibri su cui si fonda l’universo ad alta risoluzione dei nostri giorni, ci sono alcuni giovani grafici e artisti contemporanei, noti appunto come pixel artists. Impiegati soprattutto nell’ambito del web e del game design, in cui sono richieste abbondanti dosi di leggerezza e ironia, hanno dato vita a un vero filone di ricerca e creato le fondamenta di una nuova estetica, come dimostra il caso celebre di Minecraft, entrato ormai a far parte dell’inconscio videoludico collettivo.
Krayon, nome d’arte di Arcadio Pinto, è un pixel e street artist italiano che rimane tuttavia fedele alle tecniche tradizionali. Armato di pennello e di pazienza, costruisce le sue figure, prevalentemente soggetti naturali e animali, per trame sgranate e blocchi di materia, che colgono tuttavia l’essenza degli elementi. Mi ritrovai per una selva oscura è il titolo dell’opera da lui ideata per l’edizione 2018 di Dante Plus, realizzata con colori acrilici su cartone telato: l’aura di fierezza del Sommo Poeta e la cupa atmosfera delle proverbiali fronde si sciolgono nel linguaggio dei pixel, trasformando un ritratto celebrativo in icona di modernità.
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