Ogni immagine rivela le fonti d’ispirazione del proprio autore e quelle cui attinge David Sossella per “Il volto di Dante” sono tutte di prim’ordine: le grottesche fattezze dei personaggi della “Città incantata” di Miyazaki, le incongruenze spaziali di Escher e i vuoti cieli notturni cavalcati dall’Arzach di Moebius, il cromatismo vivace degli anime e, per il dettaglio degli occhi, gli “orologi molli” di Salvador Dalì. Classe 1976, veneziano, Sossella è uno dei graphic designer più originali nel panorama della giovane illustrazione italiana, capace di cimentarsi con le tecniche tradizionali e con quelle vettoriali e digitali e di muoversi indifferentemente nell’ambito editoriale, autoriale e commerciale. Parla del suo come di un lavoro certosino, che richiede umiltà e dedizione, ma anche molta intraprendenza e apertura alla contemporaneità: recentemente si è distinto per aver proposto in vendita i suoi primi NFT (“non-fungible tokens”), ossia certificati di proprietà su opere digitali.
La sua versione del Sommo Poeta pensata per l’edizione 2017 di DantePlus, mostra collettiva organizzata annualmente a Ravenna a cura di Marco Miccoli, sorprende per la prorompente forza immaginifica. Un piccolo Dante si dondola appigliandosi ai lacci del copricapo di una più grande effigie osservata dal sotto in su: un’impressionante maschera dantesca dalla vistosa dentatura, vuota e scavata, avvinta da minacciose foglie di lauro, che fluttua in uno spazio fantascientifico, solcato da nuvole, pianeti e simboli astrali. Anche Beatrice, ispirata più all’estetica di una bambola lollipop che alla tradizionale iconografia, è appesa alla curiosa “mongolfiera”, mentre fanno capolino, in alto a destra, le tre fiere, e al centro piccoli teschi e alcune creaturine infernali. Una scena davvero singolare e a tratti spiazzante, ma che restituisce efficacemente la portata visionaria del viaggio dantesco verso dimensioni ignote.
In foto: David Sossella, Il volto di Dante, 2017. Courtesy dell'Artista
Commenti