La parola faraglione deriva probabilmente dal greco fàros “faro” ma, secondo il grande esperto di linguistica romanza Gerhard Rohlfs, avrebbe assunto il significato geografico di “scoglio appuntito che si innalza dalle acque davanti alle coste a falesie” non dalla lingua greca ma dal francese parlato dai Normanni che conquistarono il sud della penisola italiana. Rohlfs dedica proprio il settimo capitolo della sua pubblicazione Antroponimìa e toponomastica nelle lingue neolatine alla parola faraglione, raccontando di aver rintracciato sulle coste francesi vari toponimi (cioè nomi di luoghi) riconducibili al termine faraillons/farillons (ad esempio, vicino a Marsiglia, Les Farillons de l’Archipel du Cap Croisette, Les farillons de Maire -ile de Maire-) e che questi scogli, da tempo immemore, sono muniti di un faro. Se, dunque, è difficile immaginare che i faraglioni abbiano ripreso il nome greco significante “un faro” per la loro somiglianza estetica a queste sorgenti luminose, è assai più probabile che i dialetti italiani meridionali abbiano acquisito questo termine dal francese, in cui indicava appunto “uno scoglio munito di faro”. A proposito, ricordiamo che anche altre lingue romanze hanno ereditato questa parola: il catalano (faralló), lo spagnolo (farallón o farellón) e il portoghese (farelhão, farilhão).
I faraglioni italiani più noti sono sicuramente quelli di Capri. Questi “guardiani dell’isola” hanno anche un nome: il primo, unito alla terra, si chiama per l’appunto Faraglione di Terra o Stella; il secondo Faraglione di Mezzo e il terzo Faraglione di Fuori o Scopolo. Poco distante dai primi tre si trova anche un quarto faraglione, denominato Monacone perché un tempo il Bove Marino, altrimenti detto Monaco o Foca Monaca, abitava quelle acque. Oltre ad essere famosi per la loro incredibile bellezza naturalistica, i faraglioni di Capri, in particolare quello di Mezzo e il Monacone, ospitano la podarcis sicula coerulea, altrimenti detta “lucertola azzurra”, specie che ha trovato il suo habitat esclusivamente in questi luoghi. La lucertola dal manto blu elettrico è stata scoperta dal naturalista Ignazio Cerio nel 1980 ed è stata nuovamente studiata negli ultimi anni dall’equipe della Federico II di Napoli, coordinata da Domenico Fulgione e da Gabriele de Filippo, biologo della conservazione e fotografo, nell’ambito del progetto Sguardo sulla Campania – Biodiversità per il 2020. I faraglioni di Capri non sono gli unici in Italia. Tra quelli siculi, meritano d’essere citati i faraglioni di Scopello, che per la loro bellezza hanno visto passare vari set cinematografici (come quello di Ocean’s Twelve e Il commissario Montalbano), e quelli delle Isole dei Ciclopi, tra Aci Castello e Aci Trezza, in provincia di Catania. In questo caso si tratta di una serie di scogli di pietra lavica, formatisi in seguito ad un’intensa attività vulcanica circa mezzo milione di anni fa: Isola Lachea, Faraglione Grande, Faraglione Piccolo e altri quattro scogli disposti ad arco. Questi scogli vengono chiamati Isole dei Ciclopi perché sembra che Omero abbia ambientato proprio qui il famoso incontro tra Odisseo e il Ciclope Polifemo, durante il quale sarebbero nati i faraglioni, ossia le grandi rocce scagliate dal Ciclope contro Ulisse, per averlo accecato.
Anche la Sardegna ha dei magici faraglioni sulla costa iglesiente, a sud-ovest dell’isola: Il Pan di zucchero e i quattro Faraglioni di Masua. Il Pan di zucchero è un’imponente roccia, la più alta del Mediterraneo, che si erge nel mare a pochi metri dalla spiaggia, vicino ai suoi quattro “fratelli minori”. È denominata così per la somiglianza con il celebre Pão de Açúcar della baia di Rio de Janeiro, nome che ha sostituito l’originario sardo Concali su Terràinu già nel Settecento.
La Puglia, invece, può vantare Le due sorelle del Salento, nei pressi di Torre dell’Orso, e l’imponente Pizzomunno di Vieste. Il nome di quest’ultimo in dialetto viestano significa “pezzo di mondo”; la leggenda vuole che Pizzomunno fosse il nome di un giovane e bel pescatore del luogo, innamorato di Cristalda e da lei ricambiato. Una notte la gelosia delle sirene, innamorate del ragazzo, avrebbe causato la morte di Cristalda, aggredita e trascinata nelle profondità marine, così Pizzomunno si pietrificò dal dolore divenendo un bianco scoglio. Si dice che i due amanti, una sola notte ogni cento anni, riescano ad incontrarsi di nuovo. A questa romantica e triste storia il cantautore Max Gazzè ha dedicato nel 2018 una canzone (La Leggenda di Cristalda e Pizzomunno), partecipando anche al Festival di Sanremo.
Insomma, i faraglioni hanno da sempre suscitato un enorme fascino su chiunque li abbia visitati, tanto da ammaliarci e farci sognare ad occhi aperti ancora oggi.
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