Figli del destino

La letteratura è ricca di storie avvincenti che hanno come protagonisti dei giovani orfani. Questi personaggi hanno incontrato il favore del pubblico per le difficoltà che hanno dovuto affrontare in giovane età, risvegliando sentimenti di compassione e vicinanza. È, ad esempio, il caso dei celebri David Copperfield e Oliver Twist di Charles Dickens, ma anche quello di Tom Sawyer di Mark Twain o Jane Fairfax in Emma di Jane Austen, per non parlare del contemporaneo Harry Potter di J.K. Rowling!

La parola orfano “privo di uno o di entrambi i genitori” deriva dal latino, che a sua volta riprende il greco antico orphanòs. Una storia interessante è quella di un suo sinonimo, proveniente dalla stessa famiglia: orbum. Originariamente, questo termine indicava “l’aver subìto una perdita dolorosa” (generalmente quella del padre); nel corso del tempo, la sua connotazione di privazione ha dato origine ad alcune espressioni in cui la parola orbum significava “senza”, come ad esempio orbus lumine “senza un occhio”. Di qui, si passò all’uso assoluto di orbus come “cieco”, significato che usiamo ancora oggi (ad esempio nella locuzione bòtte da orbi “colpi violenti dati alla cieca”), ma che troviamo già nel II sec. d. C. in autori come Apuleio. Nella lingua letteraria, tuttavia, troviamo ancora l’originario significato di “privo”, ad esempio in Manzoni: «Stette la spoglia immemore / Orba di tanto spiro», o Leopardi: «Orbo rimasi allor» (“solo, abbandonato”).

Nel Medioevo, in prossimità delle chiese e dei conventi, veniva spesso collocata una ruota di legno dove venivano lasciati i neonati che non potevano essere accuditi dai genitori. Proprio dall’azione di abbandonare i bambini all’aperto, in questo “spazio apposito”, nacque il cognome Esposti o Degli Esposti, con cui venivano spesso registrati questi orfani, non essendo note le generalità dei genitori. Ma non si tratta dei soli cognomi di questo tipo, anzi! Hanno la stessa origine i Trovati e Trovatelli, gli Innocenti, e i Diotaiuti, Diotallevi e Sperandio. Anche il tipico cognome romano Proietti (o Projetti), non è altro che un derivato del verbo latino proicere “deporre, gettare abbandonare”. Lo sapevate?

La questione dei cognomi, attualmente molto dibattuta in Italia, si fa poi ancora più interessante se andiamo a vedere le usanze degli altri paesi. Se in Brasile i figli assumono l’ultimo cognome della madre e l’ultimo del padre, trasformando l’albero genealogico in un vero rompicapo, in Africa coesistono usanze differenti. In Eritrea ed Etiopia, ad esempio, non esistono i cognomi, ma il nome di battesimo viene seguito da quello del padre; mentre in Kenya la situazione è ancora più complessa, tanto che molte famiglie che intraprendono le adozioni a distanza si sono chieste perché alcuni bambini abbiano il cognome diverso dai propri fratelli biologici. La spiegazione, molto affascinante, proviene dal forte legame che i kenioti hanno con l’appartenenza geografica e tribale: ciascuna delle più di 40 tribù ufficiali ha un nome differente (ad esempio Luo o Kalenjin) e alcune tribù hanno scelto di eliminare il cognome patriarcale a favore di un secondo nome tribale con un significato specifico, mentre il primo nome è quasi sempre di origine cristiana (religione praticata dall’80% della popolazione). Ad esempio, Mary Atieno (nome tribale “nata di notte”) e Blessing Adhiambo (nome tribale “nata di sera”) sono sorelle nate dagli stessi genitori! Ancora, nei paesi slavi, i figli prendono come cognome il nome del padre seguito dal suffisso -vic “figlio di” mentre nel nord Europa si fa lo stesso aggiungendo, però, il suffisso -son (es. Johnson). Di certo, se avessimo la possibilità di girare per il mondo ne scopriremmo sicuramente delle belle! E voi, conoscete l’origine del vostro cognome?

 

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