Da qualche anno a questa parte, come ben sappiamo, tutto il mondo ha allungato la lista delle malattie o disturbi comunemente conosciuti con degli acronimi (dal greco àkron “estremità” e onoma “nome”, ossia “nome formato da lettere o sillabe iniziali di più parole”). Abbiamo, quindi, aggiunto ad un vocabolario medico condiviso, oltre all’AIDS (Acquired Immuno-Deficiency Syndrome) o all’ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder), anche il COVID-19. Ma ci ricordiamo davvero cosa significa questa sequenza di lettere? Ecco, giusto per rinfrescarci la memoria – come se non ne avessimo ancora abbastanza di questo virus – precisiamo che il suo nome deriva dall’espressione inglese COrona VIrus Desease.
II tempi e i modi della pandemia sono anche stati dettati da un altro acronimo, cioè DPCM, che sta per Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; teoricamente si tratta solo di “un atto amministrativo emesso dal presidente del consiglio”, ma è diventato sinonimo di “provvedimenti per il contenimento del virus”.
Tra gli strascichi del COVID, oltre a tosse e stanchezza, ci sono anche alcuni neologismi, come long-covid “effetti a lungo termine causati dal virus” e covid free “aree teoricamente sicure”; troviamo traccia, soprattutto in rete e in qualche articolo di giornale, anche del termine covidizzato, usato (talvolta anche in senso ironico) per indicare “una persona o un ambiente contagiato da COVID” (es. Un paese covidizzato). Un caso di risemantizzazione (assegnazione di un nuovo significato a parole già esistenti) è invece quello del verbo contingentare, generalmente usato in ambito economico per indicare l’azione di “regolare le importazioni e le esportazioni con appositi provvedimenti”. Ricordiamo che l’origine del termine è latina, cum-tangere, forma intensiva di “toccare, raggiungere, avvenire, accadere” da cui anche il sostantivo contingenza “avvenimento”. Oggi, nell’epoca della pandemia, dobbiamo contingentare gli ingressi e prevedere presidi di contingentamento delle aree cittadine, per evitare affollamenti che potrebbero causare l’aumento dei contagi.
È chiaro che i neologismi e le risemantizzazioni dovute all'esperienza vissuta durante questi anni non è detto che durino per sempre: non è dato sapere quali parole ed eventualmente per quanto tempo resteranno nella lingua. Alcuni vocaboli si riveleranno degli occasionalismi, ossia “parole nate in modo estemporaneo, che non entrano stabilmente nel lessico di una lingua”, altre invece potrebbero non abbandonarci così facilmente. Magari ci sarà un boom di iscrizioni alla specializzazione in virologia e questo tecnicismo del lessico medico rimarrà un temine estremamente frequentato dai parlanti, ma ci auguriamo che gli aggettivi positivo e negativo possano presto tornare alla propria accezione originaria, che in questo periodo hanno perso: il positivo (al test per la presenza del covid) oggi come oggi, ha un’accezione assolutamente negativa, e viceversa!
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