Il riocontra e l’amore tormentato di Lazza

Si sa, non è detto che chi vinca il Festival di Sanremo porti a casa il successo più clamoroso dell’anno, lo dice anche l’archivio della manifestazione canora più popolare d’Italia, che ci ricorda quante canzoni strepitose e famosissime non abbiano inizialmente conquistato la giuria dell’Ariston. Pensiamo, ad esempio, al nostro “inno nazionale” non ufficiale, Sono un italiano di Toto Cutugno, che arrivò quinto nel 1983. Nello stesso anno, si classificò penultima Vita Spericolata di Vasco Rossi: inutile dire quanto questa canzone sia diventata un inno alla libertà per le giovani generazioni!



Quest’anno l’intensa Due Vite, interpretata da Marco Mengoni, ha svettato sul podio ed è ascoltatissima anche in radio, su YouTube e Spotify; tuttavia, non è il solo brano rivelatosi un vero successo discografico, una volta sceso dal palco. Secondo la classifica della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), oggi – ad un paio di mesi dal Festival – il terzo singolo in assoluto più ascoltato in Italia è Cenere di Lazza, che al festival si è aggiudicato il secondo posto, confermandosi la vera scoperta dell’anno. Lazza si è affermato sin da giovanissimo come freestyler rap (con una formazione classica, conseguita presso il conservatorio G. Verdi di Milano) e ha conquistato il pubblico dei più giovani anche grazie all’utilizzo del cosiddetto riocontra, condiviso dal collega Rkomi. Il riocontra è lo slang di moda a Milano già dagli anni Settanta, che prevede di pronunciare alcune parole “al contrario” cioè invertendone le sillabe, come fa Rkomi addirittura nel suo nome d’arte, che sta per Mirko. Sembra che quest’abitudine gergale italiana sia nata a Milano tra i cabarettisti del celebre locale Derby (dove si è distinto anche Diego Abatantuono) e che si sia poi diffusa rapidamente tra i giovani milanesi che negli anni Ottanta si riconoscevano nello stile paninaro (fast food, abbigliamento griffato e disimpegno politico). L’origine del riocontra è addirittura oggetto di una scena del film Il ras del quartiere (1983) in cui Abatantuono, che interpreta il personaggio del terruncello, chiede al compagno Mauro di Francesco il motivo del suo parlare invertendo le sillabe, ricevendo la risposta: “è un modo tosto per esprimersi. Treno diventa notre. Casa, saca. Cinque, quinci. Un modo per parlare senza farsi capire. Un gorge, un gergo”. 

Il fenomeno linguistico del riocontra è molto simile a quello del verlan francese (che in codice significa à l'envers “al contrario”), nato nel secondo dopoguerra e usato ancora oggi in tutta la Francia come gergo giovanile, oppure del vesre di Buenos Aires e del podanà greco. Per definire con un unico termine questi registri linguistici, ideati per “escludere gli estranei dalla conversazione”, possiamo usare anche la parola francese argot, che inizialmente è nato per indicare “il gergo della malavita o quello militare”, ma poi ha ampliato il suo raggio d’azione includendo gli slang di altri gruppi sociali, quartieri o ambienti. Giusto per fare qualche esempio di riocontra nei testi di Lazza, prendiamo la canzone 2 Cellulari dell’album Re Mida. Il testo recita: “Ho due cellulari/uno per le spese, uno […] per dire a mia drema (madre) che rimango in studio/ devo fare un disco non ci torno a cena”; oppure la canzone Povero Te: “Non mi davi un roue (euro)”, “Fra, mi sembri mia drema (madre)”. Possiamo anche ipotizzare l’utilizzo del riocontra attenui la percezione dell’ascoltatore di termini molto volgari, proprio perché “destrutturati”, come “Ho una iatro di fianco” o “Non hai idea di quanto ne potrei buttare di zzoca”.

Nella sua Cenere, portata sul prestigioso palco dell’Ariston, di riocontra non c’è traccia; tuttavia, il cantante conquista comunque il pubblico più giovane parlando di un rapporto d’amore tormentato e autodistruttivo. Questa relazione esaurita è descritta da alcuni versi come in un crescendo: “tra le tue grida in loop”, “pezzi di vetro”, “ti prego abbassa la voce o da sta casa ci cacciano proprio”, “ormai nemmeno facciamo l’amore direi piuttosto che facciamo l’odio”. La tossicità del rapporto genera nel protagonista non solo smarrimento “ho paura di non riconoscerti mai più”, “so che ho un posto ma non qui”, “mi rendi cieco”, “primo in classifica ma non importa mi sento l’ultimo come persona”, ma anche un vero e proprio cupio dissolvi, un desiderio di sparire: “corro via su una cabriolet”, “aiutami a sparire come cenere”, “spazzami via come cenere”, “puoi cancellare il mio nome farmi sparire nel fumo”. Nella canzone, tuttavia, resta accesa una luce di speranza verso un cambiamento positivo: “ti penso con me per rialzarmi”, “vorrei che andassi via ma sei la terapia”, “rinasceremo insieme dalla cenere”, “lasciamo quelle parole dimenticate nel buio”. Insomma, anche se le forme cambiano, e dai versi e le strofe della canzone tradizionale siamo arrivati alle barre (battuta di quattro quarti) e i freestyle (rime improvvisate) del rap, l’amore – specie se tormentato – resta sempre il motore principale della nostra musica, generazione dopo generazione, beat dopo beat.

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