Latino e certificazione: la fortuna della lingua di Tacito e Cicerone cresce, e non è una questione di semplice cultura. Si tratta di formazione, di competenze e metodi di studio. Conoscere il latino è una competenza sempre più spendibile nel mondo del lavoro, ed è apprezzata anche da chi assume.
La possiamo forse dire “integrata”, o neo-umanistica, e molti studenti si iscrivono ai test di competenza in lingua latina concepiti dalla Consulta Universitaria degli Stuti latini (CUSL) secondo una convenzione con il Ministero dell'Istruzione, sull’esempio della certificazione delle lingue contemporanee, e sperimentati in più regioni d’Italia.
Il nuovo prestigio del latino
A settembre 2017 una nota OCSE aveva indicato un eccessivo numero di laureati umanistici nel nostro Paese e svariate indagini recenti evidenziano nella tendenza italiana quella di studiare materie letterarie, leggendo però poco. Un segnale da interpretare e comprendere.
Ma è diversa la prospettiva offerta dalle proiezioni dell’Osservatorio Expotraining (“Il lavoro in Italia nel 2027”) sul mercato del lavoro. Le ha pubblicate il Sole 24 Ore: su 500 manager (in imprese di svariate dimensioni) il 24% sarebbero propensi ad assumere laureati in materie umanistiche, anche per adibirli a mansioni non meramente culturali. La tendenza sembra capace di proiettarsi per un decennio.
Gli amanti del latino possono intanto restare ottimisti: i test curati da CUSL, che funziona anche da ente certificatore, si sviluppano sulla base di accordi con gli uffici scolastici regionali e i crediti acquisiti sono già spendibili nel mondo universitario. Forse, presto, diventeranno un valore anche nel curriculum. Chi assume sembra infatti apprezzare la capacità dei latinisti di risolvere problemi con la logica.
Questa capacità, che normalmente si sente definire “di problem solving” potrebbe forse definirsi in modo diverso.
Se la chiamassimo “methodus problematis solvendi“?
La nota, pubblicata nel precedente sito della Società Dante Alighieri, viene riproposta senza aggiornamenti come significativa espressione di uno dei principali termini di riferimento dell'umanesimo digitale.
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