L’italiano che dà nell’occhio

In molte lingue, tra cui anche l’italiano, le parole che rappresentano le parti del corpo sono particolarmente frequenti all’interno delle espressioni idiomatiche, ossia quei modi di dire che acquistano un significato proprio, non coincidente con il senso di ogni singolo componente della frase. Questo accade perché spesso descriviamo le emozioni, gli stati d’animo o determinate azioni astratte con fenomeni corporei più semplici da spiegare. Il senso della vista, ad esempio, è incredibilmente produttivo e compare con un significato metaforico in molte frasi di questo tipo, come avere gli occhi foderati di prosciutto “non voler vedere una verità”; mangiare qualcuno con gli occhi “desiderarlo”; parlare con gli occhi “avere uno sguardo eloquente”; non chiudere occhio “non riuscire a dormire”; avere gli occhi fuori dalle orbite “essere sconvolti”; fare qualcosa ad occhi chiusi “farla in modo così automatico da non doverci neanche pensare”. Oltre i confini nazionali troviamo l’inglese to see eye to eye che non significa guardarsi romanticamente occhi negli occhi ma “essere completamente d’accordo”, mentre to be apple of one’s eye significa “essere la persona preferita per qualcuno”, un po’ come il nostro sei la luce dei miei occhi. Ancora, gli spagnoli usano la frase crìa cuervos y te sacaràn los ojos (“alleva corvi e ti caveranno gli occhi”) per commentare un gesto di grande ingratitudine, e se ne potrebbero elencare all’infinito… per dirla con una frase in tema: a perdita d’occhio!


Storia e leggenda si celano spesso dietro queste tradizioni linguistiche, come nel caso degli antichi tessitori fiorentini del Quattrocento, da cui sembra derivare l’espressione a occhio e croce (o semplicemente a occhio, dal latino ad oculum). Ancora oggi la usiamo per indicare “valutazioni non precise ma verosimili” e pare che questo modo di dire sia nato quando chi lavorava i tessuti perdeva dei fili dell’ordito e, per ritrovarli, doveva riprenderli tendendoli a croce con quelli della trama. Poi, se aprire gli occhi significa non solo “svegliarsi” nel senso comune del termine, ma anche “rendersi conto della realtà dei fatti”, chiudere un occhio equivale invece a “fingere di non vedere qualcosa per convenienza”. In questo caso, si narra addirittura che l’espressione si sia diffusa grazie al generale Horatio Nelson che, nel 1801 durante la battaglia di Copenaghen, disobbedì all’ordine del cauto ammiraglio Parker di interrompere l’azione, comunicato attraverso un movimento di bandiere da una barca all’altra. Nelson – lo racconta Robert Southey in The life of Horatio Lord Nelson (1813) – avrebbe guardato attraverso il cannocchiale con il suo famigerato occhio cieco e avrebbe esclamato di non vedere alcun segnale di resa. Insomma, chiuse un occhio sull’ordine del suo superiore e sbaragliò la flotta danese! Un’altra curiosità? Arrivando a tempi molto più recenti, tra gli anni Sessanta e agli anni Novanta, il celebre pupazzo televisivo Topo Gigio sembrerebbe aver diffuso tra il suo pubblico di piccoli spettatori l’uso dell’espressione “cosa vedono le mie fosche pupille!”, che usava come esclamazione pronunciata in una situazione di stupore e sconcerto. Questa stessa espressione è stata poi anche ripresa dai popolarissimi fumetti di Topolino e Paperino, tanto che probabilmente tutti l’abbiamo sentita almeno una volta nella vita.

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