L'enigma della vita affascina gli esseri umani. Sognatori ambiziosi, vorrebbero animare la materia inerte o piegare le leggi della natura alla propria volontà, ma questo desiderio si scontra con l'equilibrio del mondo complesso. Nel 1972, il matematico Edward Norton Lorenz spiegò la sua teoria sull'effetto-farfalla con questo titolo suggestivo: "Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?". Piccoli gesti, grandi conseguenze. Mentre cresce la consapevolezza sul bisogno di tutela del pianeta anche con scelte quotidiane, si moltiplicano i progetti sulle intelligenze non umane e senzienti.
C'è chi teme l'avvento di una tecnologia incontrollata e capace di prendere il controllo del pianeta, come Stephen Hawking nel 2018 (Brief Answers to the Big Questions) rifletteva sulle conseguenze di una I.A. capace di sviluppare "una sua volontà autonoma e conflittuale con la nostra". Si guarda anche, tra distopia e fantascienza, all'ipotesi che le I.A. del futuro possano provare dei sentimenti.
E qìuella dell'automa che solleva l'uomo dalle sue fatiche non è un'idea nuova, antico è il sogno di avere attorno automi servizievoli come la bizantina "ancella automatica di Philon" (meccanismo che pare fosse in grado di servire del vino) o come l'automa cavaliere di Leonardo Da Vinci. Progettato nel 1495, cinquecento anni dopo ispirò l'esperto di robotica Mark E. Rosheim per una macchina umanoide destinata alle missioni spaziali della NASA.
Una parte affascinante di riflessioni è quella sui meccanismi del pensiero: nel XVI secolo, il filosofo e matematico Gottfried Wilhelm von Leibniz pensava che il pensiero fosse "calcolabile" attraverso una caratteristica universale, alfabeto di simboli (capaci di racchiudere tutti i significati) tra loro calcolabili. Se questa operazione è oggi velocissima, non è ancora chiaro come insegnare alle macchine "pensanti" a discernere i dati erronei nella grande massa di quelli usati per l'addestramento: chi insegna loro come si fa?
Dovremmo poi chiederci che cosa ci attendiamo da queste animule robotiche di ultima generazione: di occuparsi al posto nostro del lavoro fisico (robota, parola tratta da un dramma ceco di inizio Novecento, sta per "lavoro servile"), di soffrire al posto nostro o di diventare i nostri amici più fedeli e stretti? Qualcuno si lascerà sedurre come Nathanael, protagonista del racconto L'uomo della sabbia (di E. T. A. Hoffmann), da una bambola simile a Olimpia, perturbante automa femminile che non lo contraddice mai?
Ci aiuta a fare sintesi un'operetta morale di Giacomo Leopardi: la "Proposta di premi fatta dall'Accademia dei Sillografi" a chi inventi una macchina capace di fungere da amico perfetto, da lavoratore instancabile (a vapore) o da donna perfetta. Qui (l'opera è del 1824) l'autore parla di età delle macchine, "non solo perché gli uomini di oggidì procedono e vivono forse più meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo numero delle macchine inventate di fresco ed accomodate o che si vanno tutto giorno trovando ed accomodando a tanti e così vari esercizi, che oramai non gli uomini ma le macchine, si può dire, trattano le cose umane e fanno le opere della vita.”
Mentre le macchine rischiano di sostituire i lavoratori e i social network sempre di più cercano di imitare cerchie di amici più facili da gestire, i nostri affetti rischiano di essere scambiati con relazioni automatiche più o meno perfette?
Sembra che le I.A. tendano a diventare meccanismi umanizzati ma che non sbagliano. Ma la sfida vera è capire come insegnare loro come imparare dai propri errori.
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