Come ben sappiamo, il tanto citato gas è un combustibile, ossia “una sostanza che è capace di fornire energia termica per combustione”. Etimologicamente parlando, troviamo le origini della combustione già nell’antica Roma, con il latino combuere “bruciare”; possiamo ricordare che nel linguaggio scientifico il termine combustibile è associato ad aggettivi che ne descrivono lo stato, come solido, liquido o gassoso oppure l’origine, come naturale (legna, petrolio, bitume) o artificiale (carbone di legna, coke, ecc.).
Dobbiamo, invece, raggruppare sotto l’ombrello dei cosiddetti combustibili fossili le tre principali fonti di energia non rinnovabile: il petrolio, il carbone e il gas naturale. Si tratta di elementi formati nel sottosuolo milioni di anni fa e soggetti ad esaurimento. La parola fossile è entrata in italiano dal francese fossile, che a sua volta è un’evoluzione del latino fossĭlis, ossia “che si ottiene scavando”: è proprio nel cuore della Terra che si trovano queste risorse! Pensate che, dallo stesso verbo latino fodĕre (“scavare”) deriva anche la comunissima parola fosso (lat. fossus). Ci avevate mai fatto caso?
Tra i combustibili di cui abbiamo parlato, sicuramente il carbone è quello più inquinante, per questo oggi è anche il meno utilizzato, ma mantiene la sua funzione, ad esempio, nelle centrali termoelettriche. Si dà il caso, tuttavia, che sia anche il più “natalizio”: in Italia siamo abituati a trovarlo nella sua versione commestibile e dolce (perché fatta di zucchero) il 6 gennaio nella calza della Befana, a simboleggiare una punizione per cattiva condotta. Invece, il carbone vegetale o attivo è sempre un prodotto alimentare, questa volta derivante dalla combustione di legno e gusci di frutta come le noci di cocco, presente in molti integratori alimentari per favorire l’eliminazione dei gas intestinali. Torniamo al combustibile che produce energia: il carbone si forma nel sottosuolo grazie alla decomposizione di organismi vegetali, come per esempio gli alberi di un’antica foresta che nei secoli è stata sommersa dalle acque e dal fango, trasformandosi poi in roccia, anche grazie all’azione di microscopici batteri che divorano idrogeno e ossigeno preservando invece il carbonio. La parola carbone riprende l’omonimo termine latino carbonem, nato dal greco karpho “asciutto, arido”. Tra i modi di dire italiani lo ritroviamo nell’espressione essere nero come il carbone, per indicare una tinta di nero particolarmente intenso.
Il termine petrolio, invece, deriva dal francese pétrole, che a sua volta è un’evoluzione del latino medievale petroleum, cioè petrae oleum “olio di sasso”. Si tratta di una complessa miscela naturale di idrocarburi che si forma nei millenni, sempre grazie all’azione dei batteri, a partire dalla decomposizione di animali e vegetali sul fondo dei mari e delle lagune. Un tempo, il petrolio veniva anche chiamato olio di roccia, balsamo di terra, olio minerale, e oggi è una delle principali fonti di energia. Il petrolio viene estratto dai cosiddetti giacimenti attraverso la trivellazione dei pozzi di estrazione o grazie alle pompe e viene trasportato tramite oleodotti o navi petroliere per essere lavorato nelle raffinerie (derivato di fine che sta per “rendere più fine, più pura una sostanza”). La sua storia industriale risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando in Pennsylvania fu perforato il primo pozzo, e perdura fino ai nostri giorni manovrando i delicati equilibri geopolitici mondiali: non a caso è stato sapientemente definito “l’oro nero”!
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