Il romanesco: che mandrakata!

Parlando di dialetto romanesco non possiamo non ricordare il celebre e amatissimo attore romano Gigi Proietti che, in un suo esilarante sketch del 2004, sottolineava ironicamente come questa lingua fosse estremamente sintetica e incredibilmente evocativa rispetto al “banale italiano”. A favore della sua simpatica tesi, portava ad esempio la differenza di brevità tra l’italiano “Tu adesso devi dirmi tutto” e il classico romanesco ma mo m’ha’ da di’, oppure la fantasiosa alternativa dialettale m’ha detto pedalino rispetto al più ovvio “sono stato particolarmente sfortunato”: è impossibile resistere alla travolgente creatività romanesca, che mette in gioco un calzino usato e maleodorante come simbolo della sfortuna! D’altra parte, potremmo senz’altro dire che veracità e potenza espressiva sono caratteristiche proprie di tutti i dialetti italiani, da nord a sud della Penisola, nessuno escluso.
Proietti, però, il romanesco ce l’aveva nel sangue e nel cuore, perciò non solo ha rappresentato un punto di riferimento artistico per la sua tradizione letteraria, con le letture pubbliche dei poeti romaneschi Belli, Trilussa (qui la Ninna Nanna - Rai, 2018) e Pascarella, ma ha anche incarnato il piacere contemporaneo del gioco linguistico, quando nel film Febbre da cavallo (1976) ha coniato la famosa mandrakata “furbata” (immancabilmente pronunciata “alla romana”, con la k che diventa una c/g strascicata). I protagonisti del film sono tre amici patiti di scommesse ippiche che escogitano una serie di assurde truffe per vincere alle corse. Uno dei tre, Armando (interpretato proprio da Proietti), è appunto soprannominato “Er Mandrake” per la sua brillante abilità truffaldina, dalla quale nasce come derivato la parola mandrak-ata, termine che usa il suffisso -ata, estremamente produttivo nella nostra lingua, per designare un’azione, spesso con valore negativo, che deriva dal nome di partenza (tra i tanti esempi basta pensare a ragazzata, bravata, cafonata, vigliaccata, stupidata, ecc.). Ricordiamo, appunto, che l’epiteto di “Er Mandrake” deriva dal personaggio dei fumetti statunitensi di Mandrake, che negli anni Trenta spopolava come abile mago illusionista, e il cui nome – a sua volta – riprendeva la mandragola, pianta a cui da sempre vengono attribuiti poteri magici. Se la frase non sono mica mandrake si è diffusa a voler indicare “l’impossibilità di fare qualcosa”, la mandrakata è invece l’opposto: “la soluzione geniale ritenuta impossibile ai più”.


Ma passiamo ora dal teatro di Proietti alla lessicografia, per segnalare ai più recenti studi sul romanesco e sull’italiano regionale di Roma Il Vocabolario del Romanesco Contemporaneo (VRC) progettato da Paolo D’Achille e Claudio Giovanardi. Si tratta di un brillante lavoro che è partito dalla raccolta di tutte le parole registrate dalla lessicografia romanesca del Novecento (vocabolari, glossari, raccolte di poesie o di romanzi, testi scolastici), vagliate da informatori anziani, e arricchite da nuove voci usate oralmente dai giovani romani. Vi ritroviamo verbi come je l’ammolla “è bravo/a, è superiore agli altri”; l’articolo i “i gnocchi” ed espressioni come l’altr’anno e ‘st’altr’anno “l’anno scorso e il prossimo anno”. Insomma, sfogliandone le pagine vi troverete davanti un antico presente da riscoprire. Che mandrakata!

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