La conquista del freddo

Oggi siamo abituati ad averlo a portata di mano nel congelatore e, negli Stati Uniti, è addirittura disponibile in comodi distributori automatici posizionati su ciascun piano nei condomìni e negli hotel. Ma siamo consapevoli che non è sempre stato così semplice reperire del ghiaccio?


Nelle prime pagine del suo splendido Cent’anni di Solitudine, Gabriel García Marquez ci racconta che a fine Ottocento, nel villaggio immaginario di Macondo uno dei protagonisti conobbe per la prima volta il ghiaccio grazie ad una carovana di zingari che lucravano portando in giro le invenzioni dell’epoca (o le presunte tali) come le calamite, il cannocchiale, le lenti d’ingrandimento o appunto la macchina del ghiaccio.

«Quando il gigante lo scoperchiò, il cofano lasciò sfuggire un alito glaciale. Dentro c'era soltanto un enorme blocco trasparente, con infiniti aghi interni nei quali si frantumava in stelle colorate il chiarore del crepuscolo. Sconcertato, sapendo che i bambini aspettavano una spiegazione immediata, José Arcadio Buendìa si azzardò a mormorare: "È il diamante più grande del mondo." "No," corresse lo zingaro. "È ghiaccio." José Arcadio Buendìa, senza capire, allungò la mane verso il blocco, ma il gigante gliela scostò: "Altri cinque reales per toccarlo," disse. José Arcadio Buendìa li pagò, e allora mise la mano sul ghiaccio, e ve la tenne per diversi minuti, mentre il cuore gli si gonfiava di timore e di giubilo al contatto col mistero. […] Pagò altri cinque reales, e con la mano appoggiata al blocco di ghiaccio, come se stesse rendendo testimonianza sul testo sacro, esclamò: "Questa è la grande invenzione del nostro tempo».

Questo racconto, sia pure di fantasia, non dev’essere molto lontano da quella che fu la realtà in determinate zone. Il ghiaccio artificiale iniziò, infatti, ad essere prodotto industrialmente, conservato e diffuso nella seconda metà dell’Ottocento, con l’apparizione delle prime macchine frigorifere; ma prima di allora la cosiddetta conservazione a freddo era garantita esclusivamente da neviere (pozzi di neve) e ghiacciaie, realizzabili solo in alcuni ambienti, spesso difficili da raggiungere. Basti pensare che, in Italia, il ghiaccio o la neve compressa venivano conservati e trasportati a dorso di mulo o su carretti dai nevaioli, che ne racchiudevano i blocchi in contenitori di rete a maglie larghe, ricoperti di paglia, per schermarli dai raggi solari.  Ad esempio, in Sicilia, l’industria del freddo era localizzata nelle zone dell’Etna, dei monti Peloritani, Iblei e Nebrodi, e la sua commercializzazione arrivava addirittura fino all’isola di Malta, dove era considerato un preziosissimo bene di lusso. Tra l’altro in Sicilia la conservazione del ghiaccio era connessa anche ad una prelibatezza culinaria, ancora oggi famosa in tutto il mondo: la granita! Sembra che, nel Seicento, si fosse diffusa tra i nobili siciliani l’usanza araba di mangiare sorbetti al limone o al gelsomino (der. del turco şerbet, e questo dall’arabo sharba “bibita fresca”), così durante l’estate la neve veniva rattata “grattata” dai depositi invernali (neviere), miscelata e condita con succo di limone, dando origine alla celebre granita che tutti conosciamo.
La vera conquista del freddo avvenne invece negli anni Cinquanta del Novecento quando, con il boom industriale, varie aziende metalmeccaniche si cimentarono nella realizzazione dei primi frigoriferi domestici, allora estremamente rari e costosi, ma che nel corso del tempo divennero sempre più accessibili, trasformando completamente le nostre abitudini alimentari e permettendoci di poter consumare prodotti provenienti dall’altro capo del mondo. Abbiamo iniziato così a considerare normale poter consumare “freschi” tutti gli alimenti, conservandone il sapore naturale e ci siamo ormai dimenticati del grande vantaggio che il progresso ci ha permesso di sfruttare. Cosa faremmo senza quello che, in alcune pubblicità dell’epoca, veniva chiamato l’“amico di famiglia”?

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