Le vestigia del latino d’Africa

Vi siete mai chiesti che fine abbia fatto il latino d’Africa? Sì, parliamo proprio di quella che è stata per secoli la lingua ufficiale dell’Impero romano e che, un tempo, toccava le coste dell’Africa Settentrionale nelle province di Mauretania (attuali Marocco, Mauritania e Algeria), Africa Proconsularis (Tunisia, Algeria, Libia) e Cyrenaica (Libia). Sarà scomparsa da un giorno all’altro o la sua storia nasconde incredibili sorprese?

 

Bene, innanzitutto dobbiamo ricordare che in queste floride province, fino al V secolo d.C., abbiamo assistito ad uno splendido periodo di intense attività commerciali e artistiche; basti pensare ai numerosi protagonisti della letteratura latina che provengono da qui, come Apuleio, Sant’Agostino (Algeria), Cipriano, Tertulliano (Cartagine, Tunisia), ecc. In secondo luogo, è d’obbligo segnare la data del 476 d.C., anno in cui cadde l’Impero romano d’occidente, lasciando questi territori alla violenza dei Vandali, un’antica popolazione germanica il cui nome è da avvicinare al tedesco wandeln “vagare, peregrinare”. Possiamo affermare, sulla base delle testimonianze provenienti da più fonti, che i parlanti persero progressivamente la capacità di usare il latino nobile e corretto, e che gli stessi Vandali adottarono la lingua dei nostri avi nella sua versione “volgare”, per capirci, ricca di “errori di ortografia”. Sono un esempio di questo passaggio linguistico le cosiddette Tavolette Albertini (il nome è quello di chi per primo le trascrisse), conservate al Museo Nazionale di Antichità e Arte Islamica di Algeri e risalenti alla fine del V secolo. Si tratta, nello specifico, di circa una trentina di tavolette in legno di cedro che documentano, in quello che potremmo chiamare “latino tardo”, pratiche legali ed economiche nell’ormai regno dei Vandali (sotto il re Gutemondo).

Nel corso del tempo moltissime lingue hanno percorso le assolate strade africane, dal punico all’arabo al francese ma, secondo il linguista Vermondo Brugnatelli, una manciata di parole di questo ormai estinto latino d’Africa si conserverebbero ancora in alcuni dialetti berberi. I berberi sono un popolo originario della zona compresa tra la Cirenaica e la Tripolitania, e il loro nome proviene forse dall’aramaico Barbar, che a sua volta riprenderebbe il greco bàrbaros “balbuzienti, che non parlano greco”. In questa cultura, le “entità spirituali” hanno il nome di äng’alus (forse derivante dal lat. angelus); la “coppia di buoi” nel dialetto berbero cabilo si chiama tayuga (probabilmente da iugum latino) e la “cagliata fresca” viene detta aguglu (forse dal lat. coagulum). Naturalmente, non possiamo dimenticare il lungo processo di arabizzazione che ha coinvolto queste regioni anche per motivi religiosi connessi all’Islam, ma è interessante notare che, probabilmente, anche la parola latina peccatum ha prodotto in questi luoghi dei derivati che si conservano ancora oggi nelle lingue tuareg e cabilo, in cui i termini abekkâd’ e abekkad(u) hanno il significato di “malattia, grande disgrazia”. Questo crocevia di popoli e lingue fa sì che nulla sia ancora certo e che ci sia ancora molto da studiare. Chi l’avrebbe mai detto che le dune del deserto celassero sotto i dorati granelli di sabbia un affascinante mistero del passato?

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