Nella notte dei destini incrociati

La notte in cui Mussolini perse la testa (Neri Pozza) di Pier Luigi Vercesi racconta l’ultima riunione del Gran Consiglio del fascismo, che si tenne fra 24 e 25 luglio 1943, quando Mussolini fu indotto a dimettersi.

Un incontro segreto

Sabato 24 luglio 1943 il Gran consiglio era stato convocato a palazzo Venezia alle 17. L’incontro si svolse in segreto, non fu stenografato e fu il primo dall’inizio della guerra. Fu anche l'ultimo in assoluto: il 3 agosto seguente, infatti, Vittorio Emanuele III avrebbe sciolto l’organo supremo del PNF.

Il re svolse un ruolo attivo nella caduta di Mussolini. Forse fu anche per un senso di rivalsa verso l’uomo che a suo tempo lo aveva esautorato. In un paese devastato dalla guerra, mentre a Roma si tessevano congiure incrociate, Vittorio Emanuele sembrava fosse l'unico, dice Vercesi, in grado di leggere la complessità dello scenario ed elaborare un'azione. 

Il saggio ricostruisce minuziosamente la riunione di quell'ultimo Gran consiglio, che si tenne all'interno della residenza del duce: Palazzo Venezia era arredato "con intenzionalità", tra pedane posizionate nei punti strategici che esaltavano la supremazia di Mussolini e costringevano ogni interlocutore ad alzare la testa e a guardarlo da sotto in su. L’artificio non intimidì Dino Grandi quando fu il momento di leggere l’ordine del giorno che invitava Mussolini a dimettersi. La mozione fu peraltro approvata a maggioranza, alle 2 del mattino di domenica 25 luglio.

Sei giorni prima, mentre la capitale era devastata da bombardamenti, Benito Mussolini si trovava a Feltre per incontrare Adolf Hitler. L'incontro, che doveva durare due o tre giorni, si ridusse a poche ore durante quali il duce non riuscì a farsi ascoltare dall’alleato. Non riuscì, per esempio, a comunicargli che l’Italia voleva uscire dalla guerra. Al suo rientro nelle Capitale lo attendeva poi un grande scontento popolare, culminato il 25 luglio con le dimissioni «del Cavaliere Benito Mussolini dalla carica di Capo del Governo» che, secondo quanto riferì il giornale radio, furono prontamente accettate dal re Vittorio Emanuele III.

Una domenica torrida

In questa giornata caldissima, la corona svolse un ruolo centrale. Senza l’intervento del re non sarebbe bastato il venir meno del consenso (lungamente confermato) degli italiani a far cadere il busto del duce, simbolo tangibile di un potere totale e di lungo corso, che fu abbattuto in quelle ore.

Grandi, primo oratore della riunione del Gran consiglio, affermò che «Le donne in gramaglie di questa guerra, anche se vengono ad applaudire per le strade, (…) sono intimamente persuase che i loro morti non siano caduti per la patria, ma sacrificati dalla volontà di Mussolini». Gli sembrò peraltro utile scaricare sulle spalle di “Adolfo Hitler” la residua responsabilità, quella di aver “corrotto lo spirito del fascismo italiano” mentre le ultime ore del Ventennio, come racconta il libro di Vercesi, si andavano rapidamente consumando.

Titolo: La notte in cui Mussolini perse la testa
Autore: Pier Luigi Vercesi
Editore:
Neri Pozza
ISBN: 978-88-545-1992-3

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