Le piazze sono la memoria d’Italia, custodi di tesori d’architettura, teatri di vita quotidiana ma anche di grandi avvenimenti. Dei veri salotti a cielo aperto.
Molte piazze italiane prendono il nome generico o specifico del palazzo pubblico o della chiesa che ospitano, come Piazza Duomo (o P. San Pietro, P. San Marco, P. del Santo etc.), Piazza del Municipio (o P. della Signoria a Firenze), Piazza del Teatro (o P. della Scala a Milano); altre alludono alla funzione del luogo, come Piazza del mercato, Piazza delle Erbe, Campo de’ fiori (a Roma), Piazza Affari (a Milano) etc; altre ancora, come le vie, sono intitolate ad un’altra città o Nazione (es. P. Venezia, P. di Spagna, P. Tunisia, P. Ungheria, P. Cuba etc.), ad un’istituzione (P. della Repubblica), un personaggio pubblico (P. Dante, P. Giacomo Leopardi, P. Mazzini) o ad un evento storico (P. delle Cinque Giornate etc.).
La parola piazza entra in italiano attorno al XIII sec. tramite il latino platea(m) che, a sua volta, riprende l’aggettivo greco platýs “largo, ampio, vasto”. Si indica con questo termine l’allargamento di una via, con funzione di snodo tra varie strade e per questo spesso ospite di mercati e edifici d’interesse pubblico. Nel XVIII secolo, lo stesso etimo latino verrà ripreso dalla parola teatrale platea, indicante l’ampio settore davanti al palcoscenico, destinato al pubblico.
La piazza è dunque un luogo di tutti, che accoglie gli spettatori dello spettacolo cittadino. L’espressione mettere in piazza è usata, per l’appunto, con il significato di “far conoscere a tutti”, mentre fare una piazzata vuol dire “fare una scenata, una scena plateale”.
Impossibile non citare anche il ruolo della piazza come luogo politico: locuzioni come fare ciò che vuole la piazza vale per il volere del popolo e scendere in piazza non indica un semplice ritrovo tra amici ma partecipare a manifestazioni pubbliche.
In foto: Piazza del Campo a Siena
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