PONTE

Dagli antichi proverbi cinesi alle recenti parole di Papa Francesco, è chiaro che all’umanità serva costruire ponti piuttosto che innalzare muri. Questa bella metafora gioca proprio sulla funzione che i ponti hanno come infrastrutture, ossia collegare due luoghi separati, tramite un percorso che permetta di superare degli ostacoli, che siano il vuoto, lo scorrere di un fiume o una via preesistente.

I ponti fanno parte sia del paesaggio urbano, come l’iconico ponte di Brooklin, sia di quello naturale come i ponti tibetani, sospesi nelle foreste. Questi capolavori di ingegneria e architettura sono classificabili in base al loro uso, ad esempio, abbiamo ponti stradali, ponti ferroviari e ponti pedonali, come il Ponte 516 del Geoparco di Arocua (in Portogallo), che con il suo mezzo chilometro sospeso nel vuoto è il più lungo al mondo. Sembra che la tedesca Amburgo, celebre città portuale, vanti il maggior numero di ponti al mondo, quasi 2.500, a fronte dei 426 che possiede la nostra Venezia, detentrice del primato italiano. Invece, dal punto di vista dell’ostacolo che permettono di superare, generalmente usiamo la parola ponte per indicare “quelli che superano un corso d’acqua”, viadotto per “le infrastrutture che facilitano il passaggio attraverso vallate o terreni scoscesi”, cavalcavia se “oltrepassano altre strade” e (strade) sopraelevate se “scavalcano aree urbane con costruzioni preesistenti”.

Il termine ponte deriva dal latino pontem “via, passaggio”, significato che ha in comune con la radice sanscrita path- “andare”, che ritroviamo anche nell’anglosassone path e nel tedesco Pfad che vogliono entrambe dire “sentiero”. Non ritroviamo i ponti solo agli albori delle lingue, ma anche nella storia dei nostri antenati: già gli etruschi, infatti, ancor prima dei Romani, sfruttarono la costruzione dell’arco per realizzarli. Non ci crederete mai, ma proprio da qui nasce la parola pontefice, che usiamo ancora oggi come appellativo del Papa! Qual è il collegamento? Presto detto: ci sono state molte teorie sull’origine del termine, ma la più accreditata vuole che, nella remotissima epoca della civiltà palafitticola, i ponti (o strutture simili) fossero degli strumenti essenziali, non solo per oltrepassare i corsi d’acqua, ma anche per scendere a terra e gli antichissimi pontefici, probabilmente, non solo avevano delle competenze di costruzione, ma gestivano anche i rapporti tra il villaggio e i possibili spiriti malvagi che la popolazione voleva allontanare dalla soglia del villaggio. Così, con il passare del tempo, il pontefice ossia “colui che fa il ponte” è diventata una figura sacerdotale, che nell’antica Roma conservava le tradizioni religiose della città, mantenendola in armonia con gli dèi. Con l’avvento del cristianesimo nell’impero, questo termine è stato pian piano usato per indicare i vescovi più importanti e poi il Papa.

Varie frasi fatte e modi di dire citano poi i ponti, proprio perché storicamente sono sempre stati degli elementi strategici del paesaggio. Bruciare, Tagliare o rompere i ponti con qualcuno significa metaforicamente “troncare ogni rapporto” e si riferisce ad una pratica reale utilizzata in guerra proprio per evitare di essere raggiunti dai nemici. Fare da ponte, invece, vuol dire “avere un ruolo di collegamento tra due persone”, mentre gettare un ponte indica un “gesto di comprensione, disponibilità verso una persona distante dalla propria realtà”. Insomma, una parola che non poteva non creare collegamenti, unendo la storia della lingua al paesaggio e all’ingegno umano.

 

 

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