Superbia, vanità, invidia

Intervista a Vittoria Morganti

“ O Padre nostro che ne’ cieli stai
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là su tu hai” (…)
(…) e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.
“Oh!” diss’io a lui, “non sé tu Oderisi,
l’onor di Agobbio e l’onor di quell’arte
ch’alluminar chiamata è in Parisi?” (…)
(…) Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura (…)
(Purgatorio,XI, 1-6;76-81;93-96).

Il Purgatorio è il luogo dove le anime devono seguire il rito del pentimento, un’educazione dell’anima ad alleggerire i propri peccati e permettere lei di salire verso le sfere celesti. Rappresenta il luogo del cambiamento, come risultato dell’opposizione tra bene e male. Varcata la porta dell’ingresso al Purgatorio, Dante entra con Virgilio nel primo dei sette cerchi, quello in cui viene espiato il peccato più grave: la superbia. Il canto inizia con un Padre nostro in volgare e non in latino, ed è l’unica preghiera che viene citata integralmente nella Commedia. Una preghiera in cui le anime restituiscono a Dio parte di quell’amore che il peccato gli aveva tolto. Il Padre nostro non è circoscritto, ma è nei cieli, per il maggiore amore che ha verso le sue prime creature, le quali, con lo stesso spirito del Cantico di San Francesco, lo laudano e rendono grazie al suo dolce vapore. Sulla base del testo biblico: ”Sapientia vapor est virtutis Dei” (Sap. VII, 25), le anime devono riamare quella Grazia sapiente che è vapore della virtù di Dio. A quel punto inizia il percorso di purificazione della mente attraverso un patimento che è contrario al peccato. I superbi in questo caso devono camminare portando sulle spalle pesanti massi che li costringono a stare piegati, in modo contrario alla postura del superbo. Le anime tengono gli occhi con fatica fisi come del resto fa lo stesso Dante che inizia a camminare nella stessa postura dei dannati. Il Sommo Poeta affronta questo particolare momento purificatorio, attraverso la conversione dell’immagine nell’arte. La scultura, come la pittura, fissa una scena nel tempo e la ferma immobile per sempre nella mente, invece Dante con fatica fisi dà il senso di una immagine plastica: di essere chino e fisso sotto il peso dell’anima, che deve essere liberata. Non a caso Cimabue credette nella pittura fissa che fu superata da Giotto, con un’evoluzione in senso plastico e naturale che inizia ad andare al di là dell’immagine, dove risiede la verità purificata dall’effimero. Ringraziamo Vittoria Morganti, Autrice e Curatrice di libri sul design e sulla comunicazione, per aver scelto questi versi così importanti e significativi, dove l’arte è al servizio della Musa e strumento di conversione dell’anima. L’universo donna è immenso e ricco di sfumature, dove ognuna avrà un suo percorso. L’importante per la Morganti è l’arrivo a quel punto di equilibrio che è sapienza e consapevolezza di sé, la figura apicale dell’esser Donna.

Come mai ha scelto questi versi e quale il nesso che li lega.
All’inizio ho cercato un pensiero, un punto dove si parlasse delle arti e di comunicazione, pur in maniera indiretta, perché sono i campi che mi appartengono. Ho trovato un intero Canto, undicesimo del Purgatorio, che mi ha affascinato per la bellezza della visione dantesca, del linguaggio e per i rimandi emotivi attualissimi che per molti versi coincidono con il mio vissuto. Si comincia con un Padre nostro, per me la preghiera per eccellenza, che esprime un affondo nella spiritualità profonda. Si prega cercando conforto nel Padre misericordioso, con atteggiamento umile come fa Dante, che mentre ascolta la preghiera al cospetto della schiera dei superbi, condannati a camminare rannicchiati portando grandi pesi sopra le spalle, ne assume la stessa postura quando uno di loro lo chiama. Un atteggiamento di pietas, al di là di qualsiasi giudizio che apre all’altro rendendosi disponibili all’ascolto, al sentire attento. Una sensibilità di stampo femminile, direi, ancora oggi fondamentale per chi si occupa di comunicazione. Dante riconosce Oderisi da Gubbio, famoso miniaturista della seconda metà del XIII secolo, che in vita rivaleggiava con Franco Bolognese, più giovane e – ahinoi – sembra più capace, secondo lo stesso Vasari che ne scrisse, disconoscendone la bravura. Rivalità mai sopite tra artisti, dove chi viene prima vanta una sorta di imprimatur di primogenitura, come se volesse rivendicare un territorio esclusivo per l’eternità. Così come, prosegue Dante per bocca di Oderisi, fece Cimabue con Giotto e, in letteratura, Guido Guinizelli con Guido Cavalcanti, prima che un terzo (forse lo stesso Dante) potesse pensare di trovarsi al di sopra di entrambi. Un inciso, questo, che gli studiosi riferiscono alla coscienza che Dante stesso aveva di sé e della sua grandezza. D’altra parte, se è vero, che da sempre l’arte e le attività creative sono per loro stessa natura terreno fertile di vanità mai sazie, con tutti i rimandi collegati, la bravura di Dante in questo Canto, a mio vedere, in particolare, è nella consapevolezza di sé, nella coerenza di un atteggiamento alto e compassionevole che ne pervade l’eleganza della narrazione.

Ha scelto il Canto legato alle arti, ma è anche il girone della superbia. Qual è il messaggio di Dante e in cosa si differenzia Giotto rispetto agli altri personaggi? 

La superbia è ostentazione, è egocentrismo, in altre parole è insicurezza. Chi ha coscienza di sé non ha bisogno di ostentare superiorità, non cerca consensi perché semplicemente “è”. Guarda davanti a sé in direzione dei suoi pensieri. Anche se è vero che gli artisti, aggiungo i designer specie quelli delle prime generazioni, hanno avuto bisogno di caricare la propria natura di autostima esasperata, vivendo in equilibrio precario tra arte, tecnica e alto artigianato per andare oltre, per realizzare le proprie idee e affrontare il giudizio pubblico. Non giustifico la superbia, ma con Dante trovo che la vanità ne sia un’espressione veniale, comprensibile fino a una certa soglia. Non a caso molti artisti hanno vissuto e, direi, tuttora vivono con difficoltà, affrontando problemi che coinvolgono l’intera esistenza, a maggior ragione all’epoca, vissuti dalla stragrande maggioranza con magnifiche eccezioni. Come Giotto, che fu un innovatore puro, ritenuto il massimo artista del periodo di Dante, di cui fu amico, uno dei pochi che in vita vide riconosciuto il suo talento geniale, specie quello pittorico. Giotto che da ragazzo entrò nella bottega di Cimabue, da cui imparò la tecnica che seppe trasformare andando incontro al futuro, tanto che “..risuscitò la moderna e buona arte della pittura, introducendo il ritrarre bene di naturale le persone vive.” (cit. Le Vitae, Vasari).

"Il dolce vapor" del padre nostro in volgare è una immagine legata al mondo femminile? Se si a quale mondo femminile?
Il dolce vapor per me evoca l’essenza femminile adulta, quella della donna che ha superato gli affanni e le incertezze della giovinezza e vive con consapevolezza la sua femminilità nel pubblico e nel privato. Vapor, come dicono alcuni studiosi, lo intendo come saggezza, una dolce saggezza dunque. Scevra da enfasi o, al contrario, da rivalità, quindi da debolezze: si parla di una pienezza conquistata nel tempo, non paragonabile neanche lontanamente a quella maschile, che non può – non deve - essere presa a modello, perché legata a un sentire, a una mentalità d’altra natura. 


Come vive la sua femminilità? Come vede la donna di oggi e come immagina la donna del futuro? 

Ho costruito il mio passo di donna giorno per giorno, concedendomi il lusso di scegliere che, sempre, presenta un conto salato. Per contro, le soddisfazioni sono rare ma preziose. Sono andata avanti lasciando indietro chi mi voleva trattenere per qualsiasi motivo o, semplicemente, chi non capiva i motivi della mia ricerca di libertà. Non c’è niente da spiegare agli altri nella ricerca di sé, è un’evoluzione strettamente personale. Noi siamo un punto minuscolo nell’universo, in movimento costante, per quanto piccoli possiamo essere. Quest’immagine mi dà serenità, mi vedo in cammino fino all’ultimo istante, spero con la mente aperta e con un progetto nuovo davanti. Oggi, quando mi capita di parlare con una giovane donna, raramente colgo luminosità nello sguardo, l’ansia della sperimentazione. Mi sembra che il clima sia un po’ appiattito, complici anche l’educazione dei genitori della mia generazione, che ai figli hanno cercato di dare tanto di quello che non hanno ricevuto in gioventù, finendo per proteggerli a oltranza senza permettere loro di crescere e sbagliare prima di trovare il proprio spazio. Non è solo questo, naturalmente, anche la società non si è evoluta dalla cultura maschilista, predominante a livello internazionale. Il potere è sempre saldamente in mano agli uomini poco inclini a concederne porzioni anche piccole, con qualche eccezione che conferma la regola. Alla donna del futuro auguro di trovare il coraggio di rompere gli schemi quando le stanno stretti, di uscire dalle strade preconfezionate e di trovare la propria, dimostrando a sé stessa per prima qual è la sua vera natura. Solo così potrà trovare la forza dentro di sé per affrontare i tanti cambiamenti che la vita propone, mantenendo salda la rotta.

La Donna è Musa nella sua creatività e nell'arte del saper vivere, quanto se lasciata libera di esprimersi potrebbe traghettarci in un mondo più giusto? Lei che è una donna di comunicazione cosa pensa a riguardo? 

Per antonomasia nell’immaginario collettivo la donna è Musa quando riesce a rimescolare le carte “con spirito nuovo”, quando inventa il quotidiano per sé e la sua famiglia dalle piccole alle grandi cose, creando atmosfere di benessere. Esempi di maestria vecchi come il mondo, di antiche sapienze che le donne hanno sempre esercitato, a qualsiasi livello sociale, attraverso le pratiche della cura. Dal cibo al conforto per bimbi e anziani, alla beneficienza, fino alle organizzazioni di cene e conversazioni brillanti in società con importanti risvolti politici, come quelle che hanno animato i salotti delle grandi dame del 700 o dell’800, che intrattenevano e creavano occasioni di incontro fra potenti. Uomini potenti, naturalmente. Altra cosa è la Musa fuori dalle quattro mura, da cui ci si aspetta la struttura del leader elevata a potenza, un capo donna che sappia ascoltare e coinvolgere, creando 
gruppi di lavoro creativi e collaborativi. Laddove la tensione verso l’equilibrio tra maschile e femminile è l’obiettivo di una vita, che può illuminare la strada per sé e per chi c’è intorno, per la collettività. Io credo che oggi sia possibile trovare le persone adatte, non ci sono tante donne in grado di poterlo fare a livello sociale ma qualcuna sì, certamente: quando avverrà sarà un bel progresso per la vita di tutti adesso e in futuro, nel mondo che lasceremo alle nuove generazioni.
VittoriaMorganti
Vittoria Morganti è professionista della comunicazione che ha sviluppato con attività nazionali e internazionali. Ha una lunga esperienza nelle p.r. e nell’organizzazione di mostre e eventi, argomenti sui quali tiene periodicamente delle lezioni. Ha svolto anche attività giornalistica e di copywriting, mentre oggi è autore e curatore di libri sul design, la comunicazione culturale e il lifestyle. Sposata con Emanuele Gabardi ne condivide pensieri e parole che molte volte danno vita a articoli, video interviste e analisi online. Insieme hanno curato volumi nella collana Casi di Comunicazione edita da Franco Angeli.

Giuliana Poli è giornalista, ricercatrice di antropologia culturale, scrittrice di Tradizione, scrittrice di monografie e testi su opere d’Arte, analista ed esperta d’iconografia ed iconologia di opere d’arte. Analisi semantica del linguaggio dell’Arte e della parola.

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immagine in alto da Wikimedia: Priamo della Quercia, Purgatorio, Invidiosi

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