Stare e venire al posto di essere

Come altri aspetti della vita, anche la lingua che utilizziamo è una delle possibili manifestazioni della nostra individualità. Con gli approfondimenti che facciamo in questa sede, non è dunque nostro intento costringere tale libera scelta, né promuovere un inutile purismo, poiché le lingue vive sono per natura in continua evoluzione.
Come già detto in precedenza, nonostante questa premessa, rimane tuttavia necessaria la condivisione di alcune regole perché i parlanti si comprendano e auspicabile salvaguardare la ricchezza delle lingue in quanto strumento espressivo per gli uomini.
Nell’articolo di oggi vorremmo dunque suggerire una riflessione su due sostituti del verbo essere: stare e venire. Essi si differenziano leggermente: l’uso di stare invece di essere in alcuni contesti è infatti tipico dell’italiano meridionale, in particolare quando esso si accompagna ad aggettivi indicanti stati d'animo, come ad esempio sto nervoso, e in alcune espressioni locative come ad esempio Lisbona sta in Portogallo o alla festa ci stava anche Marco. È invece corretto l’uso di stare come sinonimo di rimanere, restare, come ad esempio nelle frasi non ti preoccupare, starò calmo e cosa fai stasera? Sto a casa.
Venire, invece, si utilizza al posto di essere come ausiliare in frasi con un verbo al passivo. Tale sostituzione è corretta quando il participio passato ha anche valore di aggettivo, cioè per evitare l’ambiguità e sottolineare il valore passivo del verbo: se infatti con la frase la finestra è aperta si potrebbe indicare lo stato attuale della finestra, con la finestra viene aperta non c’è dubbio che si tratti di passivo. Per questa stessa ragione, si mette venire solo quando il verbo è coniugato in un tempo semplice, poiché quando esso è in un tempo composto è evidente che si tratti di passivo: se è dunque più chiaro dire il pavimento viene pulito invece di è pulito (che potrebbe indicare lo stato attuale del pavimento), nella frase il pavimento è stato pulito non c’è alcuna ambiguità.
È ancora questa la ragione per la quale l’ausiliare venire nei verbi al passivo non va bene sempre: si può dire, cioè, la pratica viene conclusa ma non Anna viene amata da Paolo.

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